Si è spento oggi il poeta vernacolare Pietro Stragapede.
«Il dialetto ha una sonorità unica, meravigliosa nonostante lo svantaggio di essere compreso spesso solo da chi lo parla – diceva -. Amo scrivere in vernacolo perché il dialetto esprime con maggior vigore la ruvesità. Quando traduco le mie poesie in italiano, avverto un senso di perdita, come una diluizione di forza e significato».
Per quarant’anni ha insegnato al I circolo didattico “Giovanni Bovio” dove, tramite drammatizzazioni e spettacoli (Felastruocche tra vinde e saule), ha trasmesso l’amore per il dialetto. Una volta in pensione, ha continuato a tenere lezioni di vernacolo, in qualità di referente. E proprio nel 2018, nell’ambito del concorso “Salva la tua lingua locale – sezione Scuole” indetto dalle Pro Loco d’Italia, due classi quinte della scuola si classificarono al primo posto con poesie dedicate all’ulivo, agli Otto Santi, alla gastronomia ruvese. Ne era orgoglioso.
Al pane ha dedicato una quadrilogia: Pone e alèive (Pane e olive, 2009): Pone e pemedore (Pane e pomodoro 2009); Pone e cepuodde (Pane e cipolle 2010; Pone assutte (Pane senza companatico 2011). Nel 2012 scrisse La collane de fofe de cuzzue; al 2016 risale Tène u rizze la liune, raccolta di poesie con cui vinse l’edizione 2017 del premio “Salva la tua lingua locale”. Nel 2017 compose la silloge La semmone sande a Riuve. Al 2019 risale la raccolta ‘Nzia-mè. L’ultima sua opera è “La Gammiètte”, dedicata all’ulivo, presentata a maggio scorso nel Nuovo Teatro Comunale.