L'approfondimento

Mascherarsi per esprimersi. Il carnevale tra finzione e realtà

Saverio Costantino
Archivio Fotonewcolor ©Franco Lamonaco
Quali realtà vivono all’interno dell’area circoscritta appartenente al Parco dell’Alta Murgia in Puglia?
scrivi un commento 176

L’approfondimento curato da Saverio Costantino Psicologo-Psicoterapeuta e Michele Cancellara Antropologo.

Quali realtà vivono all’interno dell’area circoscritta appartenente al Parco dell’Alta Murgia in Puglia? Con questa semplice domanda è partita un’analisi, che tutt’ora prosegue, su come all’interno della Puglia, precisamente nel territorio dell’Alta Murgia, la socialità abbia visto mutamenti, dettati soprattutto dal cambio di paradigma economico-produttivo. Si è passati da un territorio prettamente agro-pastorale a un territorio caratterizzato dalla monocultura (cerealicola) con tutti i cambiamenti che ne sono seguiti, non solo economici,ma anche e soprattutto sociali.

Il mio sguardo da antropologo culturale si è soffermato sul paese di Spinazzola.

Spinazzola deve alla sua posizione un tributo poco riconosciuto, vista l’importanza nei secoli ricoperta dal piccolo comune murgiano. Molte le importanti successioni vissute dal territorio, una su tutte la presenza dei templari nel territorio spinazzolese e la scoperta di sito neolitico (le Grottelline) che attesta la presenza umana nella zona già in tempi antichissimi.

Per avere un quadro generale, Spinazzola è un comune di 6.000 abitanti circa. La sua storia è caratterizzata dalla presenza di una quantità di territorio coltivabile, considerando anche l’abbondanza di acqua, evento alquanto raro nell’entroterra pugliese e murgiano in particolare. I nobili, perlopiù campani, coltivavano sul territorio di Spinazzola grandi distese di terreno.

Ovviamente per questioni di comodità, i grandi proprietari, nel corso degli anni non si recavano più dalla Campania verso la murgia e a Spinazzola in particolare, ma avevano nel tempo costruito una rete che permetteva loro di controllare i terreni avendo sul posto delle famiglie fiduciarie che, soprattutto con la fine del Regno delle due Sicilie, si sono poi impossessate dei terreni.

Da questo rapido sguardo storico-sociale, si può ben comprendere come la piccola cittadina, aveva nel suo tessuto sociale la presenza di famiglie nobili e la presenza dei mezzadri e contadini, senza dimenticare allevatori e lavoratori manuali. Uno dei mestieri più praticati, soprattutto dalle donne era la “Sartoria”.

Da un punto di vista antropologico, la presenza sul territorio di due realtà così distanti, da una parte  le famiglie con grandi possedimenti o i nobili, dall’altra  contadini, allevatori, manovali, vede la necessità di far entrare in comunicazione questi due mondi, che nonostante le diversità, abitano e vivono lo stesso luogo.

Ed è qui che la mia analisi, ha intrapreso una strada che vede il carnevale come momento indispensabile per legare i due mondi, per farli comunicare, scontrare, permettendo di gettare le basi per la costruzione di un sentire comune che nel tempo, però, è venuto sempre meno.

Il carnevale si presenta come una festa tradizionale, con una struttura aperta, capace di inglobare elementi nuovi. I carnevalanti, mantenendo la capacità di entrare ed uscire dal ruolo, attraverso il mascheramento visivo e comportamentale, rappresentano “ altro” di diverso da se stessi.

Si instaura un vero e proprio ribaltamento momentaneo della realtà. Durante il carnevale tutti possono “diventare” chiunque, assumendo i comportamenti più inusuali: il povero potrà atteggiarsi a ricco viceversa, l’uomo potrà sentirsi donna e viceversa. Del resto è assai comune il fatto che in uno stesso carnevale si esprimono sul piano visivo e comportamentale due culture nettamente differenziate, l’una espressa dalla classe egemone, l’altra espressa dalle classi subalterne. Il carnevale quindi si rivela come una festa della comunità, in cui i protagonisti irrompono la quotidianità,  il pubblico si riversa nelle strade del paese, lo scherzo, il rovesciamento del proprio status nel contesto dove si vive, mascherati si perpetravano riti poco piacevoli e anche pericolosi, l’uso dei manganelli o il lancio di uova e farina. Una vera e propria contrapposizione alla Quaresima, periodo considerato triste, periodo dell’astinenza che essa richiede.

Rapportato alla realtà di Spinazzola, il carnevale ha nel tempo goduto di una certa fama, portando alla società spinazzolese non pochi benefici, uno su tutti, l’empatia verso la condizione dell’altro. Mettersi i panni del povero, o del ricco, pone il soggetto in una condizione per cui diviene più semplice “il sentirsi come l’altro”. Oltre l’aspetto dell’empatia verso la condizione dell’altro, il carnevale permetteva di risolvere questioni private, che nella normalità non potevano esser risolte, sia per motivi giudiziari sia per pudore personale. Il carnevale, invece, permetteva tutto ciò.

Se si avevano dei dissidi con qualcuno del paese, si aspettava il carnevale per prendersi la propria rivincita, o semplicemente se si provava invidia per la condizione di un abitante, il carnevale era il momento perfetto o per farsi vedere anch’esso capace di gestire il ruolo assunto e invidiato dall’altro o anche semplicemente per  burlare il soggetto invidiato, lasciando che la questione venisse risolta nella “bolla del carnevale” . Una volta tornata la normalità, ognuno ritornava ad essere se stesso, non senza aver avuto “la propria vendetta”.  La normalità riproponeva sì le differenze, ma ammorbidiva il sentimento negativo, a favore dello scherzo o presa in giro.

Anche nel semplice non parlarsi, cosa alquanto comune nei piccoli centri, il carnevale poneva e pone una risoluzione perché – che si voglia o no – sotto la maschera molto spesso sono celati volti che nella quotidianità neanche tenderesti a guardare, magari perché ci sono dei precedenti non felici o semplicemente per poco interesse.

Nella sfera del carnevale ciò viene totalmente distrutto. Avviene spesso che due persone che non si parlino, scherzino per dei minuti senza sapere chi fosse l’altro. Ciò permette alle due soggettività di entrare in contatto, seppur in maniera casuale, ma instaurare un legame che alla conclusione del carnevale si potrebbe tramutare in un semplice saluto, superando l’indifferenza precedente.

Nel tempo il carnevale a Spinazzola è andato man mano scemando, sia da un punto di vista artistico sia da un punto di vista della partecipazione della cittadinanza. In un piccolo centro come Spinazzola è più facile, ovviamente, leggere questo cambiamento, considerata la perdita di risorse umane, troppo poco integrate dall’esterno. Ovviamente servirebbe uno studio più preciso e che tenga conto di questa tendenza per comprendere se davvero il carnevale ha innescato un peggioramento della condizione di salute nelle relazioni sociali, ma credo sia evidente che la realtà vissuta dai cittadini sia una realtà alle volte poco sana, dove un po’ tutti soffrono questo declino nelle relazioni sociali. Come in tutte le società, anche in quelle più piccole, dinanzi a delle problematiche di tipo sociale, in maniera più o meno consapevole si creano delle strategie volte al riequilibrio, proprio come il carnevale.

La cittadina di Spinazzola ad esempio, che ha visto un declino del carnevale ha dovuto riconvertire una semplice sagra (la sagra del cardoncello), in un momento dove tutto è concesso, riproponendo il ribaltamento della realtà tipica del carnevale, trasformandola in una festività molto attesa e sentita da tutta la comunità. Forse il bisogno di mascherarsi si è perso o si è affievolito, come dice Pirandello, perchè indossiamo una maschera ogni attimo. Provocatoriamente io direi che dovremmo indossare l’autentico volto per essere trasgressivi o per riconoscere, finalmente, che la vita può essere vissuta accettando anche ciò che non condividiamo appieno.

Rimanendo con lo sguardo sul Comune di Spinazzola, in una società fortemente divisa tra chi ha tanto e chi ha tanto meno, tra lavoratori manuali e lavoratori di altri settori, dove viene a mancare il momento per sentirsi l’altro, è normale il generarsi di sentimenti quali invidia, cattiveria, aumento dell’ego, a discapito della realtà sociale e comunitaria, forte propensione all’apparenza (ricordando il passato dove il nobile era egemone e il contadino-allevatore sub-alterno) ecc.

Ovviamente non è tutto riconducibile alla mancanza o meno del carnevale, ma esso poneva, a mio avviso, dei margini allo straripare dei sentimenti negativi che nel tempo hanno inondato il paese, che soffre di questo male e che solo attraverso una presa di coscienza del proprio essere comunità, con i pregi e difetti che ognuno ha, può intravedere un futuro basato sulla condivisione, dove per condivisione si deve intendere il condividere una visione, ovvero aspirare tutti verso un unico obiettivo, quello di riprendersi in mano il presente. Questo permetterebbe di lasciar alle nuove generazione terreno fertile per la costruzione di un futuro basato sull’aiuto reciproco e sul sentirsi parte di un tutt’uno e non un semplice “uno” nell’alveolo della cattiveria e dell’invidia. Tutti i paesi e le culture potrebbero riconoscersi in quanto detto, ma la pregnanza del nostro territorio credo sia molto importante. L’alta Murgia non è solo un territorio, ma è un vero e proprio filo conduttore di tipo culturale ed esperienziale. Si è cultura se si condivide, non se si è vicini ignorandosi.

È stato un grande valore poter fare una lettura condivisa, a formazione psicologica e antropologica; dialogare per dare una gestalt percettiva ed esperienziale che si contrappone alla troppo frequente tendenza di dare spazio a guru, predicatori di verità assolute.

venerdì 2 Febbraio 2024

Argomenti

Notifiche
Notifica di
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti