L'analisi

Salvatore Bernocco (Ruvo Cristiana e Democratica): «Il Pd riscopra la propria identità»

uomo con occhiali da sole
Salvatore Bernocco, presidente di Ruvo Cristiana e Democratica
Il presidente del movimento fa delle riflessioni sugli esiti delle Politiche dello scorso 25 settembre: il Partito democratico, in particolare, sarebbe stato "bocciato" per il suo progressivo distacco dalle esigenze delle classi popolari
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Salvatore Bernocco, presidente del movimento Ruvo Cristiana e Democratica, analizza gli esiti elettorali – nazionali e locali – delle Politiche dello scorso 25 settembre, focalizzandosi soprattutto sugli “errori” commessi dal Partito democratico, distaccato dalle esigenze delle classi popolari.

«Il molfettese Gaetano Salvemini – scrive Bernocco -, forse in un momento di scoramento, scrisse all’altamurano Tommaso Fiore che la politica non era un’attività che si addiceva alle persone oneste. Avrà avuto i suoi buoni motivi per fare una simile affermazione che intacca il vulnus di ogni attività, cioè la virtù dell’onestà materiale e di quella intellettuale. Chi fa politica non deve amare il denaro. Lo sosteneva il fondatore del Partito popolare italiano don Luigi Sturzo, il quale, nel suo famoso decalogo,  aggiungeva che “Dei tuoi collaboratori al governo fai, se possibile, degli amici, mai dei favoriti”.

Esame di coscienza a parte, che Sturzo riteneva necessario all’uomo politico, sia che professasse un credo religioso sia che si attenesse a un’etica laica, si evince una delle ragioni che hanno col tempo intaccato la fiducia dell’elettorato verso il Partito Democratico, apparso come una sommatoria di storie senza una narrazione, privo di una chiara e forte identità, genericamente collocabile nell’area progressista e riformista, ma poco popolare.

Il Pd è apparso un partito di élite sganciato dal sentimento popolare forse per non apparire populista; un partito di singolarità e poco plurale, con sporadici contatti con le realtà produttive, associative, con la platea degli iscritti e dei simpatizzanti. Insomma, un partito chiuso in sé stesso e che per anni è stato al governo del Paese senza aver ricevuto una legittimazione popolare. L’esame della sconfitta elettorale non ha tenuto conto, almeno sulle prime, di questi elementi: onestà e integrità morale; onestà intellettuale; mancanza di pluralismo e di un’identità definita; poco popolare tra le fasce popolari rinnegando così nei fatti uno dei fondamenti della storia della sinistra italiana e di quella popolare.

Se la sinistra non ritroverà a breve questo legame originario  e non rifonderà la propria presenza politica sull’attenzione alle fasce più deboli ed emarginate della società, rinunciando a perseguire interessi di nicchia, perderà altri consensi. Non si estinguerà, ma sarà sempre più il partito dei maggiorenti e dell’intellighenzia italiana. Questo snaturamento è già a buon punto, e i risultati lo attestano senza ombra di dubbio. Riteniamo altresì che aver rinunciato, in nome di una presunta coerenza, alla formazione di un campo largo che includesse il M5S sia stato un grave errore politico e di prospettiva.  In un comunicato stampa anteriore alle elezioni affermammo la necessità di formare un’ampia coalizione per poter contendere la vittoria al centrodestra in moltissimi collegi. Non ci sbagliavamo.

Il fatto che il partito di Conte si sia sfilato dalla maggioranza (ma non è stato l’unico a farlo) avrebbe dovuto condurre a una riflessione più ampia e a qualche mea culpa, indirizzando la riflessione verso un terreno programmatico comune e mettendo da parte le differenze. Questo non era impossibile, e la coerenza del Pd non poteva che avere come esito la sconfitta elettorale. Il Pd si è isolato, non ha voluto dialogare, anche aspramente, con Conte. Si è posto sulla tribuna e dall’alto della sua posizione governativa ha ritenuto di potercela fare a vincere contro un centrodestra compatto. Una follia politica. Quante volte le maggioranze dei governi della Prima Repubblica si sono dissolte per poi ricomporsi dopo il chiarimento politico? Molte volte.

È venuta meno anche la vocazione maggioritaria del Pd con la sua scelta di spezzare le reni alla Grecia da solo. Questa sciagurata legge elettorale, inoltre, va modificata e presto. È una legge che molti costituzionalisti ritengono incostituzionale, e non a torto. Essa non consente di scegliere un candidato, di esprimere una preferenza. Si può soltanto mettere una croce sul simbolo sotto cui compaiono dei nomi imposti dalle segreterie di partito. È il peggio della partitocrazia, e male ha fatto il Pd ad avallare il Rosatellum e a non pretendere una modifica della legge elettorale, magari in senso proporzionale e con soglia di sbarramento. O il maggioritario a turno unico, senza quel ballottaggio che in più circostanze si è rivelato un mercato delle vacche, un momento di accordi e transazioni poco limpidi e incoerenti.  A Ruvo ne abbiamo avuto un esempio alle ultime elezioni amministrative.

Se il Pd non si scrollerà di dosso le incoerenze e non rinuncerà ad apparire ed essere il partito dell’intellighenzia e di certi settori forti della finanza e dell’economia italiane, il suo destino sarà una trasformazione in senso elitario e minoritario».

mercoledì 5 Ottobre 2022

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