Cronaca

Strage 12 luglio 2016: dopo cinque anni una ferita ancora aperta

Michele Lorusso
Michele Lorusso
​Al km 51 della tratta Bari-Barletta i due treni si scontrarono. Il silenzio delle campagne venne infranto dal boato dell'incidente. La terra rossa si riempì di pezzi di ferro e delle urla di chi era all'interno dei convogli
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Era un martedì come tanti quello del 12 luglio 2016. La vita scorreva normalmente e, come ogni mattina, la gente saliva sul treno per recarsi a lavoro, all’università e per altri motivi. Questo accadeva sia ad Andria verso Bari, che a Corato verso Barletta.

Chiuse le porte i due treni, in maniera anomala, partirono “imboccando” il binario unico, uno verso Corato e l’altro verso Andria.

Ed è proprio quell’ "anomalia” che, poco dopo le ore 11:00 di quella giornata, causò quella ferita che mai si rimarginerà.

Al km 51 della tratta Bari-Barletta i due treni si scontrarono. Il silenzio delle campagne venne infranto dal boato dell’incidente. La terra rossa che circonda la zona si riempì di pezzi di ferro e delle urla di chi era all’interno dei due convogli.

La tragedia ferroviaria più grave della storia della Repubblica.

Subito si mise in moto la macchina dei soccorsi che vide intervenire soccorritori da tutta Italia che, oltre a scavare nelle lamiere, montarono un ospedale da campo per i primi soccorsi ai sopravvissuti.

Per più di 32 ore si lavorò, anche a mani nude, per prestare soccorso ai sopravvissuti e cercare di “ricomporre” le vittime.

Il bilancio fu tragico: 23 morti e 57 feriti. 

Di fronte a ciò, tutta la cittadinanza reagì manifestando un grande senso di comunità. Nonostante il caldo e le notizie negative che giungevano dal luogo dell’incidente, tantissime persone risposero all’appello lanciato dalle autorità sanitarie che chiedevano donazioni di sangue. Dopo circa tre ore, a livello regionale, si registrarono 2.724 pugliesi che vollero contribuire con un atto di amore alla richiesta di aiuto.

Il 16 luglio si tennero i funerali di Stato presso il Palazzetto dello sport ad Andria. Quel giorno pioveva, come se il cielo volesse unirsi al dolore di tutte le comunità che hanno pagato un tributo pesante in termini di vittime.

La cerimonia fu officiata alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, della Presidente della Camera, Laura Boldrini, del Ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, del Governatore della Puglia, Michele Emiliano, e di tutte le altre autorità civili e militari. Durante la celebrazione, il Vescovo di Andria, Luigi Mansi, usò parole forti per denunciare lo “stato di abbandono” che da decenni caratterizza la nostra terra sotto tanti punti di vista: «temiamo che per troppi anni e per tante persone queste terre siano state considerate le periferie dell'Italia, quelle periferie alle quali il nostro Papa Francesco ha fatto tante volte riferimento». «Speriamo che si sospenda questo fare. Le nostre coscienze sono state addormentate da prassi che ci sembrano normali ma non lo sono: quella prassi dell'economia in cui non si pensa alla vita delle persone ma alla convenienza e all'interesse».

A distanza di cinque anni la giustizia fa, lentamente, il suo corso. Dopo vari rinvii, sospensioni e cambi di sede, anche a causa della pandemia, il processo è ripreso il 13 maggio scorso presso l’auditorium “San Magno” di Trani e, proprio per oggi, è prevista un’altra udienza della fase dell'istruttoria del Pubblico Ministero che dovrebbe concludersi a settembre, subito dopo la pausa estiva, con l’ascolto della Guardia di Finanza.

Oggi, a distanza di cinque anni, se dovessimo tirare le somme di quella strage, l’unica cosa certa sono i nomi e i volti delle 23 vittime a cui ancora non è stata data giustizia e il cui sacrificio non è servito per rendere più sicuro il trasporto ferroviario.

Per non parlare, poi, del differente trattamento di “ricostruzione” tra zone del nord e quelle del sud.

Tra i tanti esempi che si potrebbero fare vi è quello del ponte “Morandi” e la ferrovia “Bari-Nord”. Mentre il primo è stato ricostruito in pochi mesi, la tratta ferroviaria interessata dalla strage del 2016 è ancora bloccata. Ciò a dimostrazione del fatto che, purtroppo, il sud è considerata ancora la periferia del paese da sfruttare soltanto per interessi economici.

Niente e nessuno potrà cancellare dalla nostra memoria quanto accaduto. Ci si auspica che si faccia luce quanto prima sulle responsabilità di tutto ciò e che, soprattutto, il trasporto ferroviario sia dotato dei sistemi di sicurezza necessari a prevenire tali stragi. 

In memoria di quel giorno, abbia raccolto la testimonianza di una sopravvissuta, Valentina Achille, ripresa sui social da "Antonio Federico Art" : ​«Quel giorno, quel maledetto giorno mi sentivo felicissima perché da lì a poco avrei finito il mio percorso universitario, spensierata salivo sul mio vagone ed ascoltavo musica, finalmente mi sarei liberata dal pensiero dei continui esami universitari. Prendevo spesso il treno per via dell’Università e ricordo che un controllore mi disse di sedermi sempre alle prime carrozze, perché alle ultime non saliva sempre gente tranquilla.

Quel giorno però io salii alla penultima carrozza, lo ricordo bene.

Sembrava un viaggio normale, con qualche fermata di troppo fra gli ulivi e il canto delle cicale. Ad d’un tratto non sono più stata in grado di star seduta al mio sedile, sono rimbalzata diverse volte fra il tavolino e il sedile, poi ho perso conoscenza.

Mi svegliò un ragazzo dicendomi che dovevo alzarmi perché dovevamo andare via.

Ricordo che quei minuti li ho passati a pensare a tutte le cose che dovevo ancora fare, e a capire cosa stesse succedendo, forse un guasto, un attacco terroristico, ma non potevo immaginare mai ad uno scontro fra due treni.

Quando sono scesa dalla carrozza ricordo la terra bollente, le cicale emettevano un canto lugubre, la puzza di gas mista a quella del sangue e della morte.

Chiamai il mio ragazzo per dirgli che avevamo bisogno di aiuto (per i soccorsi non era facile individuarci perché nessuno sapeva nulla). Come una banda di zombie iniziammo ad avanzare verso i soccorsi, li indirizzavamo verso i feriti che non riuscivano a muoversi. Non sapevo che sarei rientrata anche io fra i feriti più gravi, in quel momento non mi ero resa conto cosa mi fosse successo.

Poi capii di essere sopravvissuta alla morte».

Le vittime: Pasquale Abbasciano, Giuseppe AcquavivaSerafina AcquavivaMaria AloysiAlessandra BianchinoRossella BruniPasqua CarnimeoEnrico CastellanoLuciano CaterinoMichele CorsiniAlbino De NicoloSalvatore Di CostanzoGiulia FavaleNicola GaetaIolanda Inchingolo, Benedetta MerraDonata PepeMaurizio Pisani , Giovanni Porro , Fulvio Schinzari, Antonio Summo (di Ruvo di Puglia)Ludovico Francesco Tedone e Gabriele Zingaro.

lunedì 12 Luglio 2021

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