TEDx Barletta 2021: il progresso, la dedizione

Luana Lamparelli
Il titolo per questa edizione è stato "Vita Nova", come la più giovanile delle opere del padre della Letteratura Italiana, Dante
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“E quindi uscimmo a riveder le stelle”. (Dante Alighieri). Settecento anni dopo la scomparsa del sommo poeta Dante, a quattro mesi di distanza dall’approdo del rover  Perseverance su Marte, a inizio di una nuova estate di rinascita nonostante le difficoltà, lo scorso 3 Luglio, sotto il cielo del Castello Svevo di Barletta, si è tenuto l’appuntamento annuale divenuto fisso anche a dispetto del Covid: il TEDx Barletta. Non a caso, il titolo per questa edizione è stato “Vita Nova”, come la più giovanile delle opere del padre della Letteratura Italiana. A voler quasi sottolineare la continuità – la vita è un perpetuo divenire – e la nuova predisposizione d’animo – bisogna saper ricominciare sempre.

Non tutti conoscono la storia del TED, nato nel lontano 1984 prima di diffondersi in tutto il mondo e assumere anche la forma di TEDx che i singoli paesi di ogni nazione possono organizzare. La sigla TED sta per Technology, Entertainment and Design; lo spirito da cui i TED traggono origine è nel motto, anch’esso nato nel 1984, “Ideas worth spreading”, ovvero “Idee che vale la pena diffondere”. Si tratta di conferenze che sottolineano l’importanza di condividere idee e riflessioni di divulgazione scientifica e culturale, spaziando tra scienza, arte, politica, musica, architettura, temi globali e molto altro.

Da sempre, confrontarsi con nuove menti rappresenta il punto d’origine per considerazioni e valutazioni personali, in un effetto domino positivo anche solo come momento di novità e introduzione di elementi di cambiamento, a prescindere da quanto poi questi possano essere trattenuti o scartati dalla singola persona, conducendo a un nuovo livello di consapevolezza e creatività oppure a un mero esercizio di distrazione, prima di tornare a quel che più interessa e appassiona.

Con l’attenzione sempre vigile rispetto alla minaccia del Covid, adottando le strategie contro la diffusione del virus, in linea con le direttive in vigore, tra tamponi rapidi e green pass, questo TEDx Barletta ha significato poter condividere la vita che accade nello stesso spazio fisico e nello stesso tempo dopo molto, tornando a guardarsi negli occhi ma soprattutto a guardarsi sorridere. Ha aperto e festeggiato questa seconda estate di rinascita che, sebbene ancora gonfia di dubbi, domande, perplessità e scetticismo, è certamente più significativa di quella di un anno fa, quando la pandemia ci aveva tenuti sotto assedio ferrato per soli tre mesi e non per tre stagioni consecutive, come a partire dallo scorso ottobre.

Quando ci troviamo di fronte allo spettacolo, difficilmente immaginiamo il lavoro che ha portato alla sua realizzazione, o quello che è accaduto nelle ore precedenti: l’ordine delle sedie allineate una dopo l’altra, a raccontare l’attesa; la tensione dei relatori nelle prove e senza gli abiti di scena; la dedizione degli addetti ai lavori perché tutto funzioni; lo stato d’animo degli organizzatori tra la maglia con cui si son sporcati le mani e il cambio d’abito per calcare il palco, a fine serata; gli spazi privi della folla e delle voci che si rincorrono. Lo spazio e il silenzio raccontano allora qualcosa di diverso da quello che sarà dopo. È la dimensione che più racconta quello che non si scoprirà mai, perché organizzare un evento simile richiede lunghi mesi di preparazione, confronto, ricerca, analisi, scelta.

In quello spazio privo del pubblico, dove gli ospiti arrivavano ognuno secondo i propri tempi, prima che la serata avesse inizio, ho avuto la possibilità di intervistare tre di loro: l’esperto d’arte Jacopo Veneziani, il poeta e scrittore Ilja Leonard Pfeijffer, il musicista e influencer Pietro Morello. Di solito le interviste andrebbero fatte dopo aver raccolto informazioni su chi si andrà a intervistare, dopo aver ascoltato i loro contributi, preparando domande specifiche, soprattutto in questi contesti. L’approccio che ho voluto salvaguardare, invece, è stato quello dell’incontro spontaneo: quello in cui ci si mette in gioco per la prima volta senza sapere chi si ha di fronte. Durante la prima pausa della conferenza e subito dopo il suo intervento, invece, ho intervistato Eike Schmidt, che dal 2015 e con secondo mandato è direttore delle Gallerie degli Uffizi.

L’organizzazione del TEDx ha fornito tutti gli addetti alla stampa di materiale apposito, ma ho deciso di fermarmi alle sole informazioni riportate più sopra – nome, professione dei relatori – per improvvisare domande che possono incontrare la curiosità e l’attenzione di tutti. Perché quando pensiamo ai ruoli sociali ricoperti da qualcuno, perdiamo di vista la persona che quel qualcuno è e, compiendo questa operazione, perdiamo l’occasione di un dialogo autentico, scevro da condizionamenti sovrastrutturali. In questo momento storico, più che mai, abbiamo bisogno di ritrovare e rinsaldare la nostra umanità, ricordandoci che abbiamo provato tutti le stesse emozioni di impotenza, rabbia, smarrimento e incertezza. Dalla nostra umanità e da tutto ciò che essa porta con sé, nessun ruolo sociale potrà mai proteggerci o allontanarci.

Dopo domande mirate, ho chiesto ai più giovani di raccontare aneddoti di sé, di segnalare un libro o un disco decisivo, perché potessero diventare un incoraggiamento per altri giovanissimi, indicare loro una strada da seguire, farsi conoscere meglio. Ai più adulti ho posto domande che rimandano alla possibilità di partecipare alla poesia o all’arte a partire dalla propria condizione. Nel caso del poeta Ilja, questo ha ricondotto alla sensibilità; nel caso del direttore Eike, ha significato parlare di accessibilità e disabilità.

Ascoltare il loro pensiero, ricco anche di dati di realtà su cui tutti dovremmo riflettere, è una grande occasione, per questo riporto fedelmente gli audio delle interviste al termine di questo articolo: potrete così ascoltare anche voi la loro voce.

Dai quattro dialoghi sono emersi contenuti in continuità con quelli proposti al pubblico dal palco, pur se diversi. Il minimo comune denominatore è stata l’importanza dei social per essere nel mondo e l’importanza dell’attenzione per stare davvero nel mondo. Se da un lato abbiamo il paradigma della frenesia e del vortice, dall’altra abbiamo il paradigma dell’attenzione: per i dettagli, per quello che accade intorno a noi e dentro di noi, come persone e come società. Abbiamo bisogno di attenzione, cura e tempo per costruire realtà più solide e socialmente valide. Questo significa prestare attenzione all’ambiente ed essere consapevoli delle dinamiche più grandi di noi, come ha sottolineato Stella Levantesi; e l’ambiente è costituito anche da tutte le abitudini e consuetudini legate ai modelli maschili e femminili, poi sfociati in comportamenti sbagliati su cui ora, come società, dobbiamo lavorare duramente, affinché si combatta la brutalità e si sviluppi la nuova cultura del rispetto e dell’empatia. Significa che dobbiamo prestare attenzione alle potenzialità educanti che anche un solo regalo di Natale porta con sé, come insegna l’aneddoto di Rossella Pivanti, a cui una zia ha regalato, quando era bambina, un registratore con cui lei ha iniziato a “creare programmi radiofonici” nella sua cameretta: è da lì che è partita quella bambina che “giocava”, inconsapevolmente, alla podcast producer che oggi è. Significa riflettere, ancora, sul perché non ci sentiamo felici nonostante tutte le “carte in regola” per esserlo, come il discorso di Don Alberto Ravagnani ha invitato a fare, implicitamente, negli ascoltatori più attenti e riflessivi.

Queste e le altre storie avvicendatesi sul palco portano in sé sì la tecnologia (degli spazi museali e delle opere d’arte fruibili attraverso il web, della creatività e intraprendenza che essa permette di realizzare, delle occasioni che i social consentono, dell’interconnettività che ci avvicina nonostante le distanze geo-culturali), ma anche quello di cui abbiamo più bisogno. La domanda che ora si impone, a freddo, ripensando ai vari interventi della serata è: di cosa avevamo bisogno noi, fino allo scorso 3 luglio? E di cosa abbiamo tutti bisogno, ora, sempre, a fronte di un primo trauma legato all’arrivo del Covid19, trauma poi perpetratosi nel tempo? In un anno e mezzo abbiamo imparato a convivere psicologicamente con la presenza del virus, con paure e ansie, adottando misure di contenimento e anticontagio. Come nei peggiori film dell’horror, ma in una versione soft rispetto agli sviluppi cinematografici, l’alieno è arrivato tra noi e ci ha costretti a una guerra serrata, di cui non se ne vede la fine, forse una nuova forma di convivenza che lo vede sempre più “addomesticato”, merito della Scienza e del progresso. In un periodo storico così delicato e compromesso, abbiamo bisogno di tecnologia e design, di divertimento? Certo, ma non in primis. Perché in primis abbiamo bisogno di ritrovare la nostra umanità, che passa anche attraverso la tecnologia, il design e il divertimento. Ecco allora che le scelte della squadra TEDx Barletta per questo anno, coerentemente col tema “Vita Nova”, risultano vincenti davvero: perché ogni ospite, col suo intervento, ci ha restituito un frammento significativo di quello che eravamo e che abbiamo perso, ma possiamo ritrovare.

Abbiamo bisogno del progresso, sì, ma mai senza l’amore, come ha ben spiegato Ilja Leonard Pfeijffer col suo discorso.

Tanto l’amore quanto il progresso richiedono coraggio, lo stesso che gli ospiti hanno testimoniato con le loro storie di vita, con le battaglie contro mali difficili da curare, con le sfide con sé stessi o il sistema.

Si può essere coraggiosi davvero mettendo in campo gentilezza, oggigiorno. Ma l’abbiamo scordata, così dimentichiamo quanto possa essere forte anche di fronte a contrasti, confronti duri e divergenze su temi delicati. La verità è che abbiamo disimparato a convivere con cordialità e rispetto, o forse non ne siamo mai stati capaci, e la colpa di tutto ciò non è del virus. Ilja voleva parlare di amore, ma gli è stato ricordato che il tema di questa edizione fosse legato al progresso, così non si è rassegnato e ha parlato di amore e progresso. Questa, la verità più grande: senza amore – per la scienza, per l’ambiente cui apparteniamo, per i diritti umani, per l’ironia nonostante le difficoltà, per la gioia di vivere a dispetto delle avversità – non ci sarebbe mai (stato) progresso. Tutto risiede nei dettagli che raccontano di noi. Talvolta, di una vita nuova.

Clicca qui per ascoltare le mie interviste alle personalità.

giovedì 8 Luglio 2021

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