Attualità

Patria e umanità, l’altro lato della Grande guerra

Elena Albanese
In piazza Bovio il tradizionale Alzabandiera e il breve concerto della brigata "Pinerolo", seguiti dal taglio del nastro dell'esposizione a palazzo del Podestà
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Sono iniziate in piazza Bovio col tradizionale Alzabandiera e col breve concerto della brigata "Pinerolo", che ha proposto anche brani della tradizione popolare italiana, le celebrazioni dell'anniversario della ricollocazione della statua in cima al monumento ai caduti.

Un angelo, una donna, un simbolo, su cui si è poi soffermato il professor Nicola Neri, docente dell’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari, nell'intervento che subito dopo ha dato il via alla mostra allestita nel palazzo del Podestà dal titolo “La Grande guerra. Fede e valore”. «Siamo più figli dei nostri tempi che dei nostri padri – ha detto -. Il futuro lo costruiamo nel presente. La statua fu fusa durante la seconda guerra mondiale ed è stata ripristinata recentemente, perché si è voluto legare passato, presente e futuro». E se il sindaco Pasquale Chieco ha sottolineato l'importanza della memoria, perchè «ricordare aiuta a non commettere gli stessi errori», e ha parlato dell'impegno fondamentale delle nostre forze armate «per mantenere la pace come un'evoluzione del Paese e delle istituzioni», il professor Neri ha aggiunto che ogni giorno bisogna «sforzarsi di scegliere la propria eredità storica e identitaria e sentirla come responsabilità». 

Un racconto appassionato il suo, incentrato su valori antichi che però «spargono la loro eco su di noi». Primo fra tutti quello di Patria, che deriva dalla paternità così come il suo «vicario» Nazione deriva da nascita. «C'è un certo ritegno nel citarlo, ma è quanto di più familiare ci possa essere, non è una creazione artificiale, ma un legame di sangue. Sono valori che non scegliamo, ma che ci appartengono». Cita Gramsci, secondo cui «non si può essere cosmopoliti senza avere una Patria».

E proprio la nostra Patria, l'Italia, si compie nelle trincee del primo conflitto mondiale. «Una guerra inaspettata, uno sforzo straordinario che raggiunse il suo apice nel 1917». L'Esercito «era una macchina robusta e imponente», di cui non bisogna ricordare solo le sconfitte, come quella di Caporetto. Si deve invece pensare che si è trattato della nostra quarta guerra d'indipendenza, di cui «i fanti contadini provenienti dal centrosud e gli operai soldati del nord, la maggior parte analfabeti», appartenenti a un «Paese modesto, ma dignitoso», furono capaci di mutare le sorti», conservando «sempre la propria umanità, anche col nemico».

Testimonianza di questa umanità la diede anche la città di Ruvo, dove vennero «ospitati alcuni dei profughi delle zone occupate dall'avversario austro-tedesco». Nelle loro memorie ci sono solo lodi per il trattamento riservatogli, eccetto per una cosa, racconta il professor Neri, «il minestrone di fave e ceci indigeribile».

Ai ricordi e ai cimeli della Grande guerra è dedicata appunto la mostra, curata dal Comando Militare Esercito "Puglia" e allestita nell'atrio del palazzo che ospita la Polizia municipale. Al taglio del nastro, oltre al Primo cittadino, è intervenuto anche il generale di brigata Mauro Prezioso, comandante territoriale dell’Esercito in Puglia.

Un grande ringraziamento è stato rivolto all'associazione nazionale Bersaglieri, nella persona del presidente regionale Ferdinando Damiani, per l'organizzazione delle celebrazioni, oltre che a Piero Violante e al generale Franco Tria per aver messo a disposizione alcuni rinomati pezzi delle loro collezioni private, non ultime le cartoline di Cascella, esposte per la prima volta.

venerdì 24 Marzo 2017

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