Musica

Antonio Iurilli: «Qualche rapsodica riflessione sulla recente legge regionale sulle bande»

Veronique Fracchiolla
Veronique Fracchiolla
Pino Minafra & La Banda in concerto a Conversano © Sol Minafra
Pochi mesi fa l'approvazione della legge regionale sulla tutela delle bande, presentata ufficialmente a Conversano il 30 e 31 agosto, alla presenza del Maestro Riccardo Muti, nell'ambito dell'evento "Maestri", diretto da Pino Minafra
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A pochi mesi dall’approvazione della legge regionale sulla tutela delle bande, presentata ufficialmente a Conversano il 30 e 31 agosto, alla presenza del Maestro Riccardo Muti, investito dell’onore e “onere” di essere padrino, il professor Antonio Iurilli fa una riflessione su quella che dovrebbe essere la sua concreta attuazione.

Lo fa partendo dal concerto conversanese di Pino Minafra & La Banda, nell’ambito della rassegna “Maestri” di cui lo stesso Minafra è stato direttore artistico: un evento con vasta eco tanto che ne è stato curato un approfondimento – intervallato da alcuni brani del concerto – dalla musicologa Anna Menichetti per la Radiotelevisione Svizzera (qui il link).

«“Le legi son, ma chi pon mano ad esse?” – scrive Iurilli -. Questo celebre verso che Dante mette in bocca a Marco Lombardo nel sedicesimo canto del Purgatorio mi è tornato alla memoria appena calato il sipario sulla straordinaria performance musicale che lo scorso 31 agosto, a Conversano, ha sancito l’estro artistico e la caratura etico-politica di un ruvestino doc: di Pino Minafra, che da trent’anni, dal mitico concerto di Donaueschingen, spende la sua indomita passione identitaria affinché il tempo inesorabile e soprattutto l’inclinazione all’effimero del nostro tempo non rendano sempre più eco lontana le sanguigne, primigenie sonorità dei fiati e delle percussioni che hanno acceso e dilettato per decenni, nei grandi eventi delle comunità, cuori e menti dei nostri avi.

Quella sua passione identitaria, audace e fortunata nel contagiare vari e importanti soggetti istituzionali, ha sortito un notevole risultato. Ha reso la Puglia protagonista assoluta della prima legge che non solo tutela, con logica museale, il patrimonio musicale delle bande cittadine, ma ne incentiva la vitalità e la presenza negli attuali consumi musicali di massa.

La scaletta del concerto di Conversano è stata, del resto, un intelligente, raffinato mélange di questi due obiettivi. Una banda che al cospetto di un prestigioso parterre nobilitato dalla presenza di Riccardo Muti, parla orgogliosa, a Conversano, l’idioma ruvestino (da brividi il tributo ad Antonio Amenduni), ma si inchina ai travolgenti assoli di talenti assoluti della musica europea contemporanea, è stata, infatti, l’icona vivente di una tradizione e di un’attualità capaci di coinvolgere le nuove generazione e, forse, distrarle dal passivo consumo di spesso discutibili modelli musicali d’importazione.

Oggi tutto questo non è ormai solo il frutto, ossimoricamente acerbo e passato, di un visionario ostaggio di radici inesorabilmente consunte dal tempo. È legge unanime di una Regione che, memore della sua storia, ha voluto che il suono della banda continui ad essere sinestesia audiotattile dei forti sentimenti popolari, di dolore e di riscatto, di eroi ed eroine travolti dalle passioni, di uomini segnati dalla impari lotta coi padroni della gleba: sinestesia di sentimenti senza tempo che sopravvivono alla giustizia sommaria delle mode e sfidano l’insensata legge del mercato che fa ormai durare tutto l’espace d’un matin, legge cui anche l’arte si piega osannando l’effimero.

Animata da così alti intenti, quella legge impone allora alle comunità cittadine (soprattutto a quelle, come la nostra, che ne hanno sottoscritto il protocollo preliminare) un severo vincolo: un vincolo morale prima che giuridico. Impone che alla felice sopravvivenza delle feste popolari cui il suono della banda è legato corrisponda la sopravvivenza di quello stesso suono, in modo che, in un abbraccio ingenuamente plurisensoriale con gli altri ingredienti della festa, esso continui a dettare la cifra etico-civile della festa patronale, quella cifra che delega al Santo Patrono la difesa della comunità dall’ingiuria degli uomini e della natura in una lotta senza tempo geneticamente impressa nelle rughe dei nostri padri, ma anche in quelle, artificiosamente rabberciate dalla tecnologia estetica, di noi figli.

Certo, si stenta a credere che il bello si possa preservare per decreto, senza il decisivo apporto di una coscienza sensibile al valore culturale delle radici. Per questo la legge regionale sulle bande è un impegno: un impegno per chi promuove e organizza le feste patronali e per chi, a vario titolo, pubblico o privato, le sostiene economicamente. È l’impegno a resistere alla facile seduzione del cantante o dell’uomo di spettacolo acclamato dalla massa, ma culturalmente delocalizzato. È l’impegno a tenere viva anche nei giovani, che comunque manifestano ancora sensibilità per il melodramma affollando i costosi teatri, la memoria ancestrale del suono della banda che irradia impetuoso e struggente, e persino gratuito, dal quel naos di legno e luci che è la cassa armonica.

Per questo, mentre nella frescura notturna di una nobile città feudale si dileguavano, sotto le complici luminarie della festa, le ultime sanguigne sonorità della Terronia di Pino Minafra, e sfollava l’autorevole parterre dei protagonisti di quella legge, mi è tornato alla mente il verso di Dante col quale ho iniziato queste mie rapsodiche riflessioni: “Le legi son, ma chi pon mano ad esse?” Sperare che di quella legge chi di dovere colga lo spirito restituendo dignità a scelte da tempo accantonate è un dovere: morale e civile».

mercoledì 13 Settembre 2023

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