Il saggio

Antonio Iurilli: «Cotugno, donna Ippolita e i parenti ruvesi. Una storia tutta da riscrivere»

Ritratto di Domenico Cotugno © su gentile concessione di Antonio Iurilli
I rapporti di Domenico Cotugno con i parenti ruvesi e la figura di Ippolita Ruffo di Bagnara, moglie del grande medico di Ruvo di Puglia sono al centro degli studi scientifici condotti da Marielva Torino, illustrati dal professor Iurilli
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I rapporti di Domenico Cotugno con i parenti ruvesi e la moglie Ippolita Ruffo di Bagnara sono al centro degli studi scientifici condotti da Marielva Torino, storica della medicina, illustrati nell’ambito dei convegni e dei seminari tenutisi nel 2022, anno del Bicentenario della morte del grande medico ruvese.

Questi contributi sono presentati dal professor Antonio Iurilli, componente del Comitato scientifico per il Bicentenario della morte di Domenico Cotugno,  nel saggio “Cotugno, donna Ippolita e i parenti ruvesi una storia tutta da riscrivere”. Sono studi ritenuti utili «alla maggiore conoscenza delle vicende umane di Cotugno in relazione alla sua città natale».

«La feconda sinergia fra la Giornata di Studi celebrata a Ruvo lo scorso 6 ottobre 2022 e i due convegni celebrati a Napoli nello stesso mese, nonché le mostre allestite, sempre a Napoli, nella Biblioteca Universitaria e nell’Archivio di Stato, hanno dato al bicentenario della morte di Domenico Cotugno il respiro di un bilancio della fortuna storica e il valore di un arricchimento scientifico delle conoscenze sul celebrato.

I risultati sono stati davvero cospicui. E se i risultati emersi dai due convegni napoletani sono stati già consegnati ad atti in corso di stampa, quelli della Giornata ruvese attendono trepidi e speranzosi uno sponsor, e sono ad oggi, per fortuna, almeno affidati a un docu-film che ne conserva una memoria sintetica, ma efficacemente divulgativa.

Fra i contributi scientifici offerti dai convegni vorrei soffermarmi su uno, che credo interessi in particolare noi ruvesi, in quanto tocca da vicino e fa chiarezza sui rapporti, avvolti da incontrollati luoghi comuni, che legarono Cotugno alla sua terra natale e ai suoi parenti. Ne è autrice Marielva Torino, valorosa storica della medicina, che ha riscritto quei rapporti forte di un rigoroso approccio ai documenti d’archivio. Li ha riscritti, quei rapporti, correggendo innanzitutto l’immagine di donna Ippolita Ruffo di Bagnara, consorte del Cotugno, che i parenti di Ruvo non amarono mai, ancor meno dopo che il notaio lesse il testamento col quale la nobildonna veniva, in piena e incondizionata volontà del testatore, nominata usufruttuaria di tutti i beni che Cotugno aveva accumulato fra Napoli e dintorni, beni che a morte della beneficiaria sarebbero passati in piena proprietà all’Ospedale degli Incurabili. I beni accumulati nei territori di Ruvo e di Terra di Bari, le cui sorti economiche Cotugno aveva, da lontano, seguito per tutta la vita con particolare attenzione, furono assegnati al fratello Vincenzo e ai figli di costui Pietro, Raffaele, Vito Paolo, Domenico.

Chi era donna Ippolita

Donna devota, caritatevole ma sfortunata, la duchessa Ippolita Ruffo giunse al matrimonio con Cotugno attraverso drammatiche vicende personali. A soli quattordici anni aveva dovuto sposare lo zio ex patre, Nicola Ruffo, trentenne, per salvare il patrimonio del Casato. Con lei si estinse il ramo primogenito dei Bagnara. Per quanto defilata, per le non esaltanti vicende ultime del Casato, dall’aristocrazia napoletana, donna Ippolita fu impalmata trentaseienne, in seconde nozze, da Cotugno cinquantottenne, al vertice delle sue fortune professionali. Nulla sappiamo della vita sentimentale di Cotugno prima di quel matrimonio, se non qualche illazione di colleghi che accennano alla sua tappa a Roma durante il viaggio a Padova del 1765 in compagnia di una dama e dei due figli di costei.

Di fatto, il matrimonio con la Ruffo fu un matrimonio chiacchierato e tenuto in ombra dagli stessi protagonisti, al punto che nemmeno il nipote Pietro, con lui convivente e da lui mantenuto per oltre quarantadue anni, ne seppe esattamente la data. Un matrimonio peraltro segnato dall’infausta coincidenza cronologica con l’estromissione di Cotugno dall’Ospedale degli Incurabili dopo oltre quarant’anni di servizio. Che quel matrimonio sia infine coinciso anche con la fine della sua attività scientifica è un dato che i biografi sottolineano accentuando oltre il lecito e senza fondamento la coincidenza, imputandola arbitrariamente al carattere e alle ambizioni sociali della sposa, che avrebbe imposto all’umile medico filantropo di provincia, al prestigioso scienziato di fama europea, il ruolo di imparruccato guaritore dell’aristocrazia partenopea.

Alle molte ombre che avvolsero quel matrimonio aveva dato certamente un contributo decisivo il giudizio che di donna Ippolita soleva dare pubblicamente il nipote, acquisito e convivente, Pietro, che la definì “abominevole”. Sta di fatto, però, che è proprio Cotugno, ancora nel pieno delle sue facoltà mentali, a sovvertire questi giudizi sommari gratificando nel testamento donna Ippolita dell’appellativo di “mia amatissima consorte”, e soprattutto nominandola beneficiaria di tutti i suoi beni napoletani, compresa la tenuta, invidiata per la topografia e la salubrità, di Capodimonte, che le assegnò in piena proprietà. Il che non poté non accrescere i sentimenti negativi che verso di lei nutrivano i parenti di Ruvo. Confermando l’encomiabile spirito filantropico che aveva segnato la deontologia di Cotugno in vita, il testamento stabiliva infine che, alla morte dell’ “amatissima consorte”, i suoi beni napoletani passassero in piena proprietà all’Ospedale degli Incurabili.

La dispersione del patrimonio culturale di Cotugno

Coerente con il gusto artistico-antiquario dell’aristocrazia colta del tempo, Cotugno era vissuto fasciandosi di una invidiabile wunderkammer di tesori artistici antichi e moderni. Il principale capo d’accusa che il nipote Pietro imputa alla zia acquisita è quello di aver disperso venalmente quel rilevante patrimonio culturale accumulato con competenza umanistica e raffinato gusto antiquario da Cotugno. Ma i documenti provano il contrario. A cominciare dal fatto che donna Ippolita, non avendo Cotugno disposto nulla, nel testamento, che riguardasse il suo patrimonio culturale, si affrettò a intestare a Pietro Ruggiero, allievo prediletto del marito, tutte le carte autografe giacenti nella dimora napoletana, anche quelle che risultavano già sottratte, in modo che ne sarebbe stato perseguibile un uso pubblico non autorizzato: una iniziativa, questa, tutt’altro che compatibile con l’immagine di una moglie avidamente intenta a disperdere quel patrimonio, e che invece consentì al Ruggiero di editare, postumo, l’intero corpus delle opere di Cotugno, del quale ancora oggi gli studiosi si avvalgono.

Quanto poi agli oltre quattromila libri e manoscritti della sua biblioteca (quella, ammiratissima, di Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, ne contava ‘solo’ tremila), oltre a curarne una preziosa catalogazione nel Catalogo di una biblioteca vendibile che comunque ne conserva memoria, donna Ippolita ne propose il completo trasferimento nella Real Biblioteca Borbonica, oggi Biblioteca Nazionale di Napoli. Furono gli allora dirigenti della Biblioteca ad operare una inspiegabile selezione, che di fatto smembrò e snaturò la collezione libraria amorevolmente e con grande dispendio di risorse costruita da Cotugno. Persino i padri Teatini, cui la Ruffo aveva alienato ciò che la Real Biblioteca Borbonica non aveva accolto, vendettero ‘al dettaglio’ quella parte dei libri di Cotugno che avevano ottenuto dalla vedova. A disperdere venalmente il resto di quella biblioteca, il cui valore emerge sempre più dagli studi che su di essa si vanno compiendo, provvidero invece i domestici di casa Cotugno e, come spesso purtroppo ancora accade, due religiosi, e persino Pietro Falcone, il medico che curò Cotugno negli ultimi anni di vita. Per fortuna, molti di quei libri, riconoscibili in quanto Cotugno amava contrassegnarli con la sua firma, furono acquistati da Benedetto Croce e sono custoditi nella sua Biblioteca.

Parenti serpenti?

 A impugnare il testamento di Cotugno, rogato a Napoli il 18 agosto 1820 dal notaio Nicola Cerbino, furono Lucia Jurilli e Biase Chieco, figli delle sue due sorellastre, e i nipoti Domenico, sacerdote, e Vito Paolo. Ma la reciproca, avida conflittualità dei parenti ruvesi, sia pure nel perseguire il fine condiviso di impugnare e limitare i diritti acquisiti da donna Ippolita, è già chiara nell’atto del 30 aprile 1822 che nomina il nipote Pietro, punta di diamante dei loro interessi, procuratore generale di tutti i beni dello zio: un atto sospetto, in quanto segue solo di qualche settimana l’atto con il quale Cotugno affida la funzione di procuratore dei suoi beni al nipote Domenico, fratello di Pietro. Il 12 febbraio di quello stesso anno (l’ultimo della sua vita) Cotugno era stato colpito da un ictus che aveva fortemente segnato le sue capacità intellettive e fisiche. Non è dunque difficile sospettare in quegli atti tentativi di circonvenzione di incapace.

Ombre non lievi avvolgono, peraltro, il rapporto che Cotugno tenne proprio col nipote Pietro, unilateralmente proclamatosi ‘prediletto’, ma che in realtà sembra dai documenti assai poco coinvolto nella notevole sfera culturale e affettiva dello zio, se non addirittura sospettosamente emarginato. Con icastica verve moralistica l’autrice di questi studi conclude: “A chi il Signore non dà figlioli, il diavolo dà nipoti”. La controversia giudiziaria proposta dai parenti ruvesi contro la Ruffo, sospettata lei di aver circonvenuto un incapace, ebbe due sentenze opposte: la prima favorevole a loro, la seconda, definitiva, favorevole alla Ruffo. Patrocinatore dei ricorrenti ruvesi presso la Suprema Corte di Napoli fu Giovanni Jatta senior, principe del Foro Partenopeo, ma soprattutto loro prozio».

mercoledì 10 Maggio 2023

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amenduni francesco
amenduni francesco
11 mesi fa

povero Domenico, così tanta scienza, così poca pace in famiglia …
parenti serpenti, fratelli coltelli, cugini assassini …

Giuseppe Ruotolo
Giuseppe Ruotolo
11 mesi fa

Ottima sintesi di una inappuntabile recensione è l’adagio “a chi il Signore non da figli il diavolo da nipoti”. Complimenti al recensore (prof. Iurilli) e alla recensita. Complimenti anche al direttore di RuvoLive per gli articoli pubblicati e per la tempestività delle informazioni.

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