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Francesca e Salvatore, una storia di guerra e ricordi

Francesca Elicio
Nel Giorno della memoria, il racconto di quel periodo dalla voce di un'anziana coppia ruvese possa aiutare tutti a non dimenticare e a non ripetere gli errori e gli orrori del passato
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Sono passati tanti anni, o forse no. Il ricordo di quel periodo di guerra, così duro, così intenso, così drammatico ha segnato le vite di tutti. Le vite di coloro che l'hanno vissuta in prima persona, di coloro che la vivono ancora tramite i racconti e le testimonianze.

Quella che stiamo per raccontarvi è una tenera narrazione, a tratti amara, a tratti malinconica.

Francesca e Salvatore. Due ottantenni che portano ancora sulla loro pelle i segni di quegli anni, più indelebili di un tatuaggio.

«All'inizio della guerra io avevo 10 anni», ci racconta Francesca. «Eravamo liberi e spensierati, ma poi ci accorgemmo che qualcosa non andava. Sulle nostre teste, giorno dopo giorno, abbiamo visto volare aerei in continuazione. Era il presagio della guerra, lo sapevamo. Giorno dopo giorno, il partito fascista che si era insediato a quel tempo, iniziò a reclutare ragazzi giovanissimi per mandarli al fronte. Nessuno poteva essere escluso. In molti iniziarono a scappare, soprattutto chi aveva un credo politico differente. Anche mio zio fu reclutato».

La situazione in paese non era pericolosa, ma la paura colpiva tutti. «Avevamo paura di morire», continua Francesca. «Ogni giorno ci sentivamo dei miracolati. E ringraziavamo di essere ancora vivi. La nostra vita era trascorsa solamente tra le mura domestiche. I soldi erano pochi, la libertà ancora meno. Alle 7 di sera, tutti dovevamo rientrare nelle nostre case. Se solo i soldati avessero visto una piccola luce, per noi sarebbe stata la fine. Avevamo paura, tanta paura. Pativamo la fame. Il partito fascista ci dava una tessera e con questa potevamo ritirare il cibo per una settimana. Ed era un vero problema: il partito fascista ci dava 1 kg di pane. Le famiglie numerose, che avevano dieci figli, non riuscivano a vivere con quelle quantità. Noi eravamo un po' più fortunati: nostro zio, essendo soldato, aveva diritto a prendere cibo dal forno. E prendeva più farina anche per noi, in modo che potessimo realizzare in casa pane e altro cibo simile. La nostra alimentazione era molto povera: fave, patate ma solo fino a quando non finivano. Dopo di che dovevamo arrangiarci come potevamo. Era davvero molto dura. Mi ricordo che quando ci furono i bombardamenti, noi fuggivamo dalle case per paura che ci potesse crollare tutto addosso. Andavamo tra le campagne, cercando di nasconderci furtivamente».

A un certo punto, gli occhi di Francesca si illuminano e grondano di lacrime. È il ricordo di sua mamma che la commuove. «Quel giorno mia madre mi aveva ordinato di andare a prendere una padella con delle melanzane. In quel preciso istante, iniziarono i bombardamenti. Tutti scappavano, io non sapevo cosa fare. So solo che dovevo tornare a casa perchè mamma aveva bisogno delle melanzane. Avevo davvero paura, ma mi feci coraggio e cercai pian piano di convincermi che non sarebbe accaduto nulla; tornai a casa. Mia madre era sull'uscio della porta che impaziente mi aspettava. Mi rimproverò quasi di non essere tornata prima per poter portare le melanzane a casa. Era spaventata, ma per fortuna andò tutto bene».

E ancora più limpido è il ricordo della camicia con cui sua madre rivestiva la sorella neonata mentre fuggivano dall'abitazione. La stessa e unica camicia che suo padre usava quotidianamente. Da quel momento, il padre rimase senza qualcosa da indossare.

Salvatore era davvero piccolo quando iniziò la guerra; aveva tre anni. E quando sei bambino, vedi tutto come un gioco. «Quando i miei genitori scappavano, io li seguivo come per gioco. Non capivo cosa accadeva, era come se stessimo facendo una passeggiata tutti insieme. Gli anni poi passavano e iniziavo pian piano ad avere piena consapevolezza della situazione in cui ci trovavamo. Cibo scarso, libertà limitata. I nostri genitori erano duri, ma volevano proteggerci. Gente triste, che si sentiva senza speranza. Io lavoravo sin da piccolo in campagna, dalla notte fino alle cinque del giorno dopo. E questo perchè le campagne erano i luoghi più sicuri. Gli aerei tendevano a bombardare città, dove potevano colpire più gente possibile».

Anche l'acqua era un lusso per pochi. Per una o due ore massimo aprivano le cisterne e tu potevi prendere l'acqua che ti serviva per lavarti.

Lui era piccolo, ma ricorda che quando i fratelli furono arruolati, ormai la guerra era finita e non si viveva più in quel clima di terrore. La cosa però che ricorda bene è l'angolo di casa in cui si rifugiava sempre quando le bombe erano sempre più forti.

Ma fortunatamente tutto passa. E tra tanti ricordi negativi, ce n'è uno che risuona di festa. «Il giorno in cui la guerra finì, eravamo tutti per strada a festeggiare. E mio fratello, che tempo prima aveva nascosto un po' di pane sotto al pavimento, lo prese e lo mangiò. E io scoppiai a ridere».

venerdì 27 Gennaio 2017

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Biagio Ribatti
Biagio Ribatti
7 anni fa

Bellissima testimonianza. Grazie per averla pubblicata.

Nino
Nino
7 anni fa

Non mi risulta che Ruvo sia stata mai bombardata, sarei curioso di conoscere altre notizie qualora i signori ricordano meglio qualche particolare

Vincenzo
Vincenzo
7 anni fa

E’ una indelebile testimonianza che i miei genitori e parenti hanno sempre raccontato e per sommi capi quanto descritto è quello che a Ruvo in quel periodo si è vissuto. Grazie.