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«Io, servo tra voi». L’abbraccio di don Mimmo alla diocesi

La Redazione
I momenti prima della messa. L'attesa e le emozioni dei presenti
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Alle 16.30 la Cattedrale di Molfetta è già piena. Sono tanti i fedeli accorsi per il primo saluto a Domenico Cornacchia, nuovo vescovo della diocesi. Sono centinaia, in attesa di vivere il cerimoniale con cui si aprirà ufficialmente il suo episcopato.

Assistervi è un po’ come far parte della storia di una comunità. Un granello di sabbia tra tanti, certo. Ma la sabbia assume consistenza proprio grazie ai granelli. Granello sia allora. Con orgoglio. Emozione. Anche curiosità, come sempre in questi casi. Di vedere il nuovo pastore, di sentirlo parlare. Messaggi, gesti, sorrisi. In fondo serve poco per essere amato dai fedeli. Poca forma, tanta sostanza. Papa Francesco è lì, a insegnarlo ogni giorno.

All’esterno della Cattedrale l’aria è tranquilla. Due file di transenne delimitano l’area che di lì a un’ora accoglierà il vescovo. Con lui ci saranno il sindaco di Molfetta Paola Natalicchio, le autorità e le forze dell’ordine. Ma quel momento non c’è ancora.

Il piazzale antistante si riempie progressivamente, poco per volta. I rappresentanti istituzionali arrivano alla spicciolata, i fotografi e i cameramen si riscaldano perché di lì a poco dovranno esser bravi a cogliere l’attimo. Quello giusto, più suggestivo.

Il momento, con calma, arriva. Monsignor Cornacchia sorride, saluta, bacia la terra, come da cerimoniale. Le due ali di folla lo accompagnano con lo sguardo verso il sagrato del Purgatorio, dove, sullo sfondo dei gonfaloni e della chiesa, è salutato dal sindaco di Molfetta.

«Ti consegniamo la nostra fragilità e il nostro coraggio – afferma il primo cittadino – la nostra storia, fatta di grande sensibilità. Di questo ha bisogno la nostra ripartenza: delle nostre mani, del nostro sorriso e da oggi anche della tua guida».

L’accenno va a un anno che è una ferita, con i decessi di Don Gino Martella e don Mimmo Amato. Eppure la conclusione del 2015 è stata all’insegna della gioia e della pace, con una marcia di bellezza, che nulla ha a che fare con la vacuità di un simbolo. In certi momenti, in quei momenti, la forma è sostanza. È questo il miracolo della speranza. Sennò che speranza sarebbe.

Questa cerimonia ha il senso di una seconda tappa. Una nuova marcia della pace. Un rinnovato appello al senso tutto speciale della condivisione. «Rimettiamoci in marcia – conclude la Natalicchio –. Buon lavoro».

Monsignor Cornacchia ringrazia. La voce è suadente, esprime dolcezza. Non tradisce imbarazzo perché oggi non c’è da essere imbarazzati. Il messaggio è quello del servo, più che del pastore. Del servizio, più che della guida. «Sono come uno che va ai crocicchi delle strade per invitare tutti alla festa del Signore – spiega – e voglio somigliare a Gesù che condivide la strada con i viandanti senza giudicarli ma progressivamente per aprire il loro cuore e la loro mente alla luce e all’amore».

Uno dei tanti, insomma. Un uomo della strada e della mano tesa. Non c’è spazio per la magniloquenza e i gli stessi riti paiono un semplice contorno. Quasi si perdono nel contesto di parole che hanno la semplicità delle immagini. Raccontano. Si vedono.

Monsignor Cornacchia saluta i familiari di don Tonino Bello e don Gino Martella, presenti in piazza come testimoni di vite ispiratrici. «Non voglio sedermi davanti a voi come un capofila – conclude, parlando ai presenti – né voglio mettermi dietro. Ma voglio stare in mezzo a voi, a trasformare ansie e gemiti in offerte gradite. La mia vita deve essere impregnata della vostra».

Il cerimoniale si avvia alla conclusione. Monsignor Cornacchia viene accompagnato nella cappella del Seminario vescovile, dove indosserà le vesti sacre. Poi la processione verso la Cattedrale e la prima messa. L’abbraccio con i suoi fedeli, che non aspettavano altro che conoscerlo. Don Mimmo, quello che vuol essere uno tra loro.

domenica 21 Febbraio 2016

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