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Regionali. Aldo Patruno “torna a casa”: «Mi metto in gioco per amore della mia terra»

Giuseppe Cantatore
Giuseppe Cantatore
Il primo "verso" che ha cambiato appena candidato nel Pd di Renzi è stato quello geografico. Da Nord a Sud. Da Roma - dove ha vissuto negli ultimi anni - a Corato, dov'è nato e da dove sta muovendo i primi passi il suo progetto politico
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Il primo “verso” che ha cambiato appena candidato nel Pd di Renzi è stato quello geografico. Da Nord a Sud. Da Roma – dove ha vissuto negli ultimi quindici anni – a Corato, dov’è nato e da dove sta muovendo i primi passi il suo progetto politico. Aldo Patruno, sposato con una ruvese, ha 41 anni, è dirigente dell’Agenzia del Demanio ed è uno degli aspiranti consiglieri coratini per le prossime elezioni regionali.

Lo slancio che ha dato vita alla sua candidatura sembra quello del “ritorno a casa”. Se spesso si parte dal Sud per emigrare al Nord, lei invece hai deciso di fare una scelta opposta, mettendosi in gioco anche a sue spese. Cosa l’ha spinta a lasciare la sua “casetta romana” per candidarsi in Puglia?

«Una delle molle che mi ha spinto ad accettare questa candidatura è proprio la reazione – quasi emotiva – ai tassi ormai elevatissimi di migrazione dei giovani dal Sud verso il Nord o, ancor più, verso l’estero. D’altro canto, nella società della comunicazione e della mobilità “accorciata” non credo vada enfatizzata troppo la distanza Roma-Corato. La mia scelta non vuole avere niente di eroico, ma è semplicemente un gesto di amore per la mia terra: provare a mettere a disposizione un’esperienza e delle competenze tecnico-specialistiche maturate in circa quindici anni di professione a Roma nella valorizzazione dei patrimoni pubblici. È naturalmente una scelta impegnativa dal punto di vista personale e professionale: dal 16 marzo sono in aspettativa non remunerata (non ne ero obbligato, ma ho scelto di farlo per non gravare sul bilancio pubblico dell’Agenzia del Demanio) ed è la prima volta che lascio il mio ufficio e la mia direzione con la quale abbiamo realizzato progetti straordinari».

Da lontano che percezione ha avuto in questi anni non solo di Corato, ma di tutta la realtà provinciale e regionale dal punto di vista politico e sociale?

«La sensazione netta è che Corato non abbia ancora il riconoscimento e la visibilità che merita a livello sia regionale che nazionale. Esiste evidentemente una questione connessa alla capacità di autopromozione che passa attraverso l’implementazione di efficaci azioni di marketing territoriale e la disponibilità a fare sistema, superando i singoli orticelli. C’è poi l’occasione straordinaria della Città Metropolitana rispetto alla quale bisogna evitare di replicare il classico meccanismo Baricentrico; il territorio provinciale deve contare di più e, in questo senso, Corato riveste una posizione strategica di assoluto rilievo che fino ad oggi non è riuscita a sfruttare adeguatamente. Anche per mancanza di una rappresentanza territoriale forte a livello regionale».

Quali sono i punti cardine del suo programma?

«Il mio programma sarà quello del “Sindaco di Puglia” Michele Emiliano che sta nascendo da un processo partecipato molto interessante e che ha visto la sua prima “Sagra” lo scorso 14 marzo. Per quanto mi riguarda partirò da quello che so fare meglio: sviluppare e valorizzare i patrimoni immobiliari pubblici – statali e locali – a servizio dello sviluppo socio-economico dei territori.

Quello che conta è il metodo con cui approcciare questi temi che può essere esteso a numerosi altri campi di azione: 1. Rivalutare le risorse a disposizione: per lungo tempo i beni pubblici sono stati considerati un costo e non una potenziale occasione di sviluppo. 2. Conoscere per scegliere e decidere: senza una adeguata conoscenza di ciò che si possiede, è impossibile porre in essere azioni efficaci di intervento. La Regione è l’Ente che può svolgere questa funzione di interfaccia tra lo Stato e gli Enti locali nel censimento delle proprietà pubbliche. 3 Accrescere le competenze per attuare i progetti: oggi non mancano né gli strumenti né le risorse finanziarie, occorre solo sapere costruire progetti fattibili e di reale utilità, ritagliati su misura dei territori e delle esigenze delle comunità locali. E fare in modo che la politica e la burocrazia non intralcino con scarsa trasparenza le reali possibilità di accesso a tali opportunità».

Da dirigente del Demanio nazionale è già stato impegnato in diversi progetti di riqualificazione degli immobili pubblici dismessi per rilanciare l'offerta turistica. E’ una pratica su cui puntare anche sul versante politico?

«Se è vero che il rilancio dell’economia italiana passa attraverso il trinomio turismo-cultura-eccellenze “made in Italy” e che l’attuale offerta di servizi turistico-culturali e ricettivi richiede una profonda riqualificazione qualitativa, perché non sfruttare l’enorme patrimonio dismesso e inutilizzato di ville, castelli, ex carceri, ex caserme, ex ospedali, ex colonie marine, masserie, trulli, fari, torri d’avvistamento di cui è costellato il nostro Paese e la nostra Regione in particolare?

Questo è il progetto Valore Paese “Dimore” di cui sono il responsabile nazionale per il Demanio che si è già concretizzato in una serie di immobili di straordinario pregio trasformati in dimore restituite ai cittadini attraverso il ricorso a forme virtuose di partenariato con primari operatori privati. Esempi concreti in Puglia sono la Dogana Vecchia di Molfetta, attualmente in corso di restauro o il Teatro Margherita e l’ex Mercato del Pesce a Bari, i cui lavori partiranno a breve per realizzare il Polo del Contemporaneo. Il vecchio liceo classico di Corato può rientrare in questo filone e stiamo sviluppando alcune idee che presenteremo nelle prossime settimane».

Quello del lavoro resta il tema più sentito dai cittadini. Il nostro territorio come può reagire a questa difficile situazione?

«Quando parlo di patrimoni immobiliari pubblici a servizio dello sviluppo economico-sociale dei territori intendo proprio questo. È facile immaginare, infatti, quali effetti, anche in termini di occupazionali, può avere il recupero di una rete di edifici pubblici in profondo stato di degrado da destinare a dimore turistico culturali: sia nella fase di realizzazione degli interventi edilizi, sia nella fase di gestione delle attività economico-commerciali previste, con tutto il relativo indotto. Ma potremmo parlare anche del vasto sistema di interventi per la manutenzione e l’efficientamento energetico degli edifici destinati a funzioni pubbliche o anche gli importanti interventi previsti dallo “Sblocca Italia” per far fronte all’emergenza abitativa».

Al contrario di tutti gli altri aspiranti consiglieri coratini, lei in passato non è mai stato candidato. Crede che questo possa essere un vantaggio o uno svantaggio? Può pesare di più, in positivo, essere un "volto nuovo" oppure, in negativo, l'essere meno abituato di altri a questo tipo di competizione?

«Non c’è alcun dubbio che sia un “outsider” e che non ho alcuna capacità di competere rispetto alle reti politiche consolidate e alle vecchie logiche elettorali del “Che mi dai? Che ti do?” Ma la sfida è proprio questa: proporre ai cittadini un progetto alternativo nel quale possano identificarsi esclusivamente per la bontà del progetto stesso e per l’impegno a rappresentare quelle istanze fino in fondo in una sede – quella regionale – in cui stiamo eleggendo – vorrei ricordarlo – consiglieri che hanno il compito di fare le leggi. E per farlo – non c’è niente da fare – occorrono preparazione, competenza, studio continuo e senso del bene comune. Merce assai rara negli ultimi tempi…»

Essendo tornato in città dopo alcuni anni, il primo gap da colmare è quello della "notorietà". Come pensa di farlo? O magari tornare dopo un po’ di tempo è un aspetto che può giocare a suo favore?

«Per un certo verso questa candidatura è nata proprio per provare a chiudere con un passato recente troppo turbolento e, in alcuni casi, rancoroso. In queste prime settimane di campagna elettorale mi sono reso conto che la città (e il centrosinistra in particolare) è troppo prigioniera di questo passato, per cui una candidatura come la mia, del tutto estranea a quanto accaduto, deve innanzitutto sortire l’effetto di rasserenare gli animi. In tal senso, una elezione di livello regionale aiuta ulteriormente ad andare oltre il livello municipale proiettando Corato in una prospettiva di più ampio respiro che, in realtà, nelle precedenti consultazioni è sempre mancata, riproponendo una ininterrotta campagna elettorale comunale. È del tutto evidente che la mia candidatura sconta una scarsa notorietà cui proveremo a porre rimedio in questi due mesi e mezzo che abbiamo di fronte. D’altro canto, però, se ricambio deve essere, i volti devono cambiare…» 

Sulla sua pagina facebook lei riporta una frase del giudice Falcone: «Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così, solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche ed incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare».  Qual è il prezzo che sta pagando e qual è la prima cosa che vorrebbe cambiare?

«Il prezzo più caro è certamente la lontananza da mia moglie e dai miei bambini, ai quali ho spiegato – prima di cominciare questa avventura – che ci sono dei momenti in cui si viene chiamati ad assumersi delle responsabilità e non si può dire di no, altrimenti poi è inutile lamentarsi se le cose continuano a non andare come vorremmo. Quanto alla prima cosa da cambiare, ho sempre sostenuto che la rottamazione renziana non è tanto un problema di uomini, ma di metodi: vorrei dimostrare con questa candidatura che un’alternativa ai vecchi metodi della politica è possibile per restituire alla Politica la dignità perduta».

martedì 31 Marzo 2015

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