Cultura

L’anello Inutile. Uscire dall’insignificanza si può

Redazione
Poesia e narrativa, più poesia o più narrativa, nel lavoro di Maria Pia, la nostra scrittrice mezzo sangue, un po' beneventana e un po' salentina? La poesia è la fioritura della parola, e nel testo di
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Il periodare si fa articolato e talvolta è come un reticolo o un labirinto in cui si rischia di perdersi. Bisogna leggere “L’anello inutile” a sorsi, come si leggerebbe un libro di aforismi sull’amore, che in lei si traveste, assume molteplici forme, riflettendosi ora nello zingaro, ora nelle note musicali, e, perché no, nel mistero primordiale della cosmogonia.

Acqua, aria, terra e fuoco sono divinità primordiali dinanzi alle quali inginocchiarsi e riflettere ancora oggi. Quella scansione testuale ripropone la scansione dei nostri giorni, l’alternarsi di stati d’animo equorei o infuocati, tempestosi o molto terreni. Le janare beneventane e la macàre salentine (le streghe) sono, in un certo senso, le profetesse di questo mondo primitivo, magico, che riaffiorano in un testo moderno, anzi post-moderno, perché, secondo me, annuncia il tempo che verrà, vale a dire il ritorno ad una libertà con gli altri, non senza gli altri: “Non poteva adattarsi a pretese di normalità, ma rinnovare il suo voto alla libertà, questa volta lasciandosi prendere per mano”.

Se non impariamo a fare della nostra libertà uno strumento di liberazione dall’io egoico perché vada in direzione dell’io in conversione, poi di quello in relazione, potremo dire poco a noi stessi ed agli altri. Mancheranno educazione e senso.

Ovviamente la protagonista è Maria Pia, che ha imparato “a uscire dal vuoto dell’insignificanza. Che è quello che rende vulnerabili”. Ben detto. Si è insignificanti quando si è niente per nessuno, perché noi siamo il prodotto dell’altrui compiacimento o ironia o stima, almeno in parte.

Ci sono altre scansioni nelle scansioni di cui ho detto: sorsi, passi, respiri (talvolta sospiri), scintille, in numero di otto. Otto è un numero magico, escatologico. L’ottavo giorno è il giorno senza fine, nella Bibbia. Il fonte battesimale aveva forma ottagonale, come Castel del Monte, luogo che si reputa magico. Ancora affiorano l’acqua come lavacro insieme ad un numero che è anche invito a ponderare i movimenti del periodare, a non inghiottirli.

Ho fatto cenno alla poesia. Ma cos’è la narrativa? La narrativa è storia minima che, vista con la lente di ingrandimento della fantasia e della immaginazione, si fa vicenda umana ed universale. È quanto accade in questo testo.

Allora, ecco il mare. Il mare che è il motivo dominante del testo, che è fatto di acqua e di sale, ma di quanta acqua e di quanto sale non sappiamo. Dipende dalla sensibilità di ognuno di noi, per cui in Maria Pia ora prevale il mare come acqua, ora prevale il mare come sale. Ma, si badi bene, il mare è anche simbolo (il simbolo è ciò che unisce, il diabolico è ciò che divide) di risurrezione. In esso, che gli antichi ritenevano fosse abitato da mostri e fosse sede del male, Maria Pia nuota, si libera, avverte l’insorgere del sentimento dell’amore che, appunto, è divino e simbolo, mai dannoso, seppure rechi sempre una porzione di sofferenza a causa del limite. Perché il mare è comunque contenuto, sembra infinito ma non lo è, mentre l’uomo anela all’infinito che non sia immagine di nulla di quanto già incontrato o visto sulla terra. L’uomo è spirito incarnato, e lo spirito geme e soffre in attesa di ricongiungersi al suo amore infinito. Credo che anche questa sia una traccia emergente dal testo di Maria Pia.

Ma, strano a dirsi, l’acqua scintilla, non spegne i fuochi di dentro, così come il sale non brucia sulle ferite, ma si fa sapienza, discorso morale, insegnamento di vita, senza pedanterie o moralismi.

Rintraccio nel libro di Maria Pia gocce di filosofia frammiste ad immagine oniriche risucchiate dalla sua terra, il Salento. Porto Badisco, la grotta, altri luoghi che io non conosco, ma che avverto come logos, luoghi di facimento della parola, laboratori di senso. In quei luoghi il logos si è fatto carne per Maria Pia, e lì ha curato la sua anima d’artista: “Questo sud apre ad una condizione essenziale per l’abbandono creativo. Qui gli artisti curano l’anima, mentre i turisti muggiscono la loro ingombrante presenza”, scrive la nostra Autrice. Anche qui, a Ruvo, ci sono luoghi come questi, ma non ne siamo consapevoli. La consapevolezza del silenzio come culla della parola qui non c’è, e vorremmo che il turismo venisse a romperlo, perché non sappiamo come vivere il silenzio, come accoglierlo, come farne occasione di introspezione. La vita si vive più dentro che fuori di noi, care amiche ed amici. La vita è la proiezione di quanto abbiamo dentro. Può essere fecondità o desolazione, acqua o deserto.

Allora, cos’è l’Anello inutile? Credo che sia l’inutilità delle forme, dell’estetica delle forme, della forma del senso. Credo sia l’attaccamento alla vita, alle sue corde intime e nude. Credo sia l’ascolto ininterrotto della vita nel suo fluire, nel suo ardere, nel suo scorrere, nel suo ritmo. È inutile ogni anello che ci tenga legati alle apparenze e all’estetica, che è cosa diversa dal bello. Vedete, l’estetica può giungere ad uccidere il bello, così come un eccessivo formalismo può giungere a reprimere la creatività e ad assassinare l’anima.

Questi pensieri mi ha suggerito la lettura dell’Anello inutile. Ve lo consiglio, non perché debba farlo, ma perché si tratta di un testo ricco, che trasuda vita vissuta. È un testo di narrativa poetica, mettiamola in questi termini. Quanto di poesia e quanto di narrativo ci sia, questo lo lascio dire a voi.

Salvatore Bernocco

domenica 22 Maggio 2011

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