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Andrea Jatta: «Vi spiego storia e situazione attuale del Museo»

La Redazione
Riceviamo e volentieri pubblichiamo la nota che ci ha inviato Andrea Jatta.
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Prima di esternare il proprio pensiero e le proprie accuse, l’ingegner Pasquale Guastamacchia avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione a quello che ha scritto. Non si risponde a delle accuse, con altre accuse fuori argomento, e soprattutto le accuse vanno circostanziate con dovere: non vanno riportate parole di altri estrapolate da contesti totalmente differenti; non vanno attribuite azioni illecite senza avere delle prove; ed un minimo di buon gusto impone di non fare i conti in tasca agli altri. Quanto meno in pubblico.

Abbiamo conosciuto i Guastamacchia anni fa, abbiamo aperto loro le porte di casa nostra, sono stati nostri ospiti a varie manifestazioni (regolarmente autorizzate), sono stati trattati con dignità e rispetto. Non perchè si chiamassero Guastamacchia, ma per il semplice motivo che è nostra abitudine farlo. Con tutti. Questo, i ruvesi che ci conoscono, e anche quelli che ci hanno soltanto incontrato, lo sanno. In cambio, lentamente, abbiamo ricevuto solo incalzanti atti di testardaggine e minacciosi insulti. E non vado oltre.

Mettendo da parte, per un momento, il discorso Guastamacchia, coglierei l’occasione per chiarire la situazione "Palazzo Jatta", spiegando al lettore come è nata la cooperativa e quali sono le idee che ci hanno spinto ad aprire un ente per gestire un appartamento. L’ala del palazzo che abbiamo aperta al pubblico altro non è che una parte dell’appartamento di mio Nonno Giovanni, rimasto semiabbandonato dal ’45 circa. L’intero appartamento di Giovanni (quello ora aperto al pubblico era tutt’uno con uno dei due attualmente dei Guastamacchia, e, quest’ultimo, fino alla scomparsa dei miei nonni, comunque vissuto) è stato diviso, in successione, a due fratelli: Giulio e Antonio, entrambi fratelli di mio padre Luigi.

Insieme a zio Antonio è venuta sempre più incalzante l’idea di non privare il visitatore del museo di toccare con mano qualcosa che va oltre un Museo Archeologico. Si dice che il Museo Nazionale Jatta sia un esempio unico di museo nel museo, per la sua particolarità degli arredamenti e della disposizione dei vasi. E vi spiego anche perché. La famiglia Jatta (parlo di Giovanni senior, Il fratello Giulio e tutti i discendenti) hanno raccolto i vasi e allestito il museo affinche i reperti stessi non andassero persi acquistati da persone che venivano da tutta europa a Ruvo per comprarli e portarli fuori dalle mura di Ruvo, che era definita, da Giovanni senior e dal nipote giovanni junior, Patria. E hanno costruito il palazzo per istituire un vero e proprio MUSEO, e non una semplice collezione privata, come quelle di tante altre famiglie di Ruvo (senza nulla togliere), ed erano orgogliosi di poter ospitare persone nel museo, e di goderne insieme della bellezza. Ecco il perche di quei divani nel museo. Il visitatore diventa un ospite, nel nostro (permettetemelo) Museo.

Aprire la propria casa al pubblico non è certo un passo facile, ma ci hanno incoraggiato i tanti ruvesi che hanno visitato (gratuitamente) per la prima volta l’appartamento, grazie ad un evento organizzato dal Touring club nel 2001, e che non hanno fatto altro che ringraziarci, avendo potuto apprezzare la casa nella quale hanno vissuto gli stessi Jatta e ai quali i ruvesi hanno intitolato ben quattro vie della loro città.

Nel 2004 anche la parte di Giulio è passata ai Guastamacchia. Non è stato facile arrivare fino a questo punto per noi, la strada d’avanti non è certo facile, soprattutto dati gli atteggiamenti dei Guastamacchia, ma un’altra sfumatura del nostro carattere è la determinatezza, non nel non scendere a compromessi, ma nell’andare avanti per la nostra strada.

"Riportare allo splendore del 1850" un edificio che rimarrà privato, giova soltanto ai proprietari, e dubito che interessi ai lettori di giornali e siti come venga fatto, e quale architetto ne cura il progetto. E "mettere dei fiori nei fucili" vuol dire più di una cosa: che evidentemente qualcuno ha puntato, quei fucili; e che metterci dei fiori dentro non ne cambia la natura, quantomeno intimidatoria.

Cordialmente,
Andrea Jatta

mercoledì 17 Ottobre 2007

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prometeo
prometeo
16 anni fa

Non desidero entrare nella polemica fra famiglie. Un solo chiarimento pero’: il Museo non e’ piu’ vostro (degli Jatta), ma nostro (dello Stato). Grazie.

giogiodegiorgis
giogiodegiorgis
16 anni fa

ormai state contribuendo alla devastazione del patrimonio, e non solo quello artistico culturale.

cellula
cellula
16 anni fa

. RIPETO ANCORA: SIGNORI SI NASCE………

Burberry
Burberry
16 anni fa

Giovanni Jatta sappiamo chi è cosa ha fatto per Ruvo. Ma questi Jatta, quelli del 2007…CHI SONO??
Ma hanno così poco da fare di serio che riescono a dedicare così tanto tempo a scrivere e inviare alla stampa cose a cui ai Ruvesi POCO INTERESSANO.

thecliff
thecliff
16 anni fa

Se di cultura, storia e valoriz.ne Ruvo vogliamo parlare, riguardo al Museo Jatta, penso ke dovremmo guardare quanto è avvenuto in questi giorni riportato dal sito: ruvodipugliaweb.É l’articolo di L. Elico sull’archeologa e direttrice del nostro museo, la sig.ra Ada Riccardi, che ha scoperto una tomba in un cantiere di Ruvo.La foto e l’articolo mostrano chiaramente la bellezza e grandiosità dell’avvenimento oltre a quanto la dott.sa stessa dichiara e che ci dovrebbe far riflettere un bel pò.

79daisy
79daisy
16 anni fa

Credo innanzitutto che la collezione sia dello Stato e non il museo (che son due cose diverse), poi vedo che le cose non interessano ai ruvesi ma sono tutti qui a rispondere. Terzo, non serviva la “scoperta” della dott.ssa Riccardi per capire la ricchezza storica e archeologica di Ruvo. Chiedete alla dott.ssa dove sono i corredi delle scoperte degli ultimi anni, e andate a rifarvi gli occhi.

liacaldarola
liacaldarola
16 anni fa

Sarei tentata di chiedere: ma perchè i ruvesi sono sempre aspri nei loro commenti? Gli “altri” sbagliano sempre e sono inadeguati. Vorrei ogni tanto leggere proposte concrete e positive. E’ davvero sgradevole la continua sensazione che chi fa, chiunque esso sia, è sotto l’occhio vigile ma nascosto e anonimo di chi critica e basta, ergendosi a giudice supremo. Una collettività non può crescere, continuando così.

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