Cultura

La tratta delle donne raccontata in un libro

Grazia Ippedico
Il dramma della prostituzione testimoniato da chi lo ha vissuto sulla propria pelle in un incontro organizzato dalla libreria "L'Agorà" e dall'associazione culturale "Calliope".
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È un argomento che brucia quello della prostituzione. Innanzi tutto perché si parla di schiavismo nel vero e primordiale senso della parola. È un argomento scomodo: tutti sanno e fingono di non vedere. È un problema reale che si interseca ogni giorno con il nostro vissuto, ma lo teniamo parallelo e distante, affinché non ci coinvolga.

Per rompere il ghiaccio, esordiamo con i numeri.
Nel mondo c’è un traffico di due milioni e mezzo di persone che vengono sfruttate sessualmente, di cui due milioni sono donne e bambini. Sulle strade Italiane ci sono dalle 20.000 alle 35.000 prostitute, delle quali almeno 10.000 vivono in condizioni di effettiva schiavitù. Molte di queste, sono giovani. L’età delle più giovani si aggira intorno ai 13, 14 anni. Questo significa, che ci sono uomini che fanno sesso con delle minorenni. E considerando che ogni donna sul marciapiede deve avere almeno una decina di clienti al giorno, gli uomini che fanno sesso con minorenni, risultano essere moltissimi. In un anno si consumano 30 milioni di rapporti sessuali con donne vittime di tratta, per un giro di soldi che supera i 1200 milioni di euro. Soldi che vengono poi investiti in droga e armi dal racket locale e internazionale.

Se tutte queste cifre, questi numeri, lasciano sbigottiti, iniziamo a pensare a ciò che ogni numero, ogni singola cifra nasconde dietro di sé. Ogni numero è una storia, è un’ anima e la vita di una persona. Perché di persone stiamo parlando. Stiamo parlando di donne con un’anima. Di donne che arrivano con un sogno che immediatamente viene infranto.

Le organizzazioni criminali che ci sono dietro queste donne sono potenti e molto ben costruite. La storia delle donne nigeriane, è una delle storie più tristi e difficili.
La Nigeria è poverissima anche se ha immensi bacini petroliferi che ovviamente sono in mano a pochi stranieri, tra cui la nostra ENI.

Premettiamo che nei piccoli paesi della Nigeria, non ci sono mezzi di comunicazione. Non c’è corrente elettrica, quindi neanche reti telefoniche. C’è molta povertà e si pensa all’Europa come ad una vera salvezza. Tramite giri e conoscenze vengono contattate le ragazze. Vengono scelte, si fanno dei contratti con le famiglie, che garantiscono per loro, e partono per l’Italia per fare le badanti, parrucchiere, baby sitter, cassiere.
Appena via dal proprio villaggio, ogni donna inizia a contrarre dei debiti con gli organizzatori. Per il viaggio, e successivamente per il cibo, per i vestiti, per l’affitto della casa, per l’affitto del marciapiede. Dove gli affitti per un letto che utilizzano in due, tre persone costano 500 euro; dove l’affitto del marciapiede costa 350 euro.

Il viaggio dai villaggi alla città è il primo passa verso l’inferno. Molte muoiono nel deserto. Non viene dato loro il necessario per sopravvivere. Partono in 30, arrivano in 5, 10. (Credo che per gli animali si abbia più rispetto). In più cibo e medicine arrivano dall’Africa. Le ragazze non mangiano cibo italiano. E ciò che comprano è carissimo, e le medicine che comprano spesso sono scadute. Non possono avere alcun contatto con la realtà locale. Emarginate e strumentalizzate vengono scaricate su un marciapiede senza alcuna spiegazione.

Mangiano poco perché non devono ingrassare. Vengono ricattate continuamente. Se non pagano, le famiglie vengono minacciate. Rapiscono e uccidono fratelli e parenti. Non possono tornare in patria perché non vengono più accettate dalle loro stesse famiglie, per non avere fatto una buona vita. Non si possono sposare né avere dei figli. Sulle strade vengono picchiate, violentate. Le vergini sono scomode, quindi vengono violate prima di essere lasciate sulla strada. Non hanno nessun contatto con la realtà italiana. Tutto è parallelo e non si incrocia mai. Apparentemente.

Non sono tutelate da nessuno. La polizia e la legge può aiutare le ragazze solo se vengono denunciati i fatti. Cosa che non possono fare, se non vogliono lo sterminio della propria famiglia e se non vogliono essere ammazzate.

Quindi lavorano 12, 13 ore al giorno sette giorni su sette, anche con le mestruazioni. A natale, a capodanno.
(Ciò vuol dire che i nostri uomini, i nostri padri, i nostri figli, il giorno di Natale vanno a comprare del sesso per strada).

Sono costrette ad abortire. Se tengono i bambini lavorano fino all’ultimo giorno di gravidanza e dopo poche settimane dal parto sono nuovamente per strada. I figli vengono mandati alle famiglie in Africa e sono ancor più motivo di ricatto. In più devono mantenere 10, 15 persone nel paese d’origine.
Molte iniziano a bere, a drogarsi. Tante impazziscono, vanno fuori di testa. Altre vengono uccise. Trovate in sacchi della spazzatura, divorate dai topi. Perché è questo che sono: spazzatura. Non hanno dignità, non hanno rispetto, non hanno considerazione, non hanno un nome.

Ora, quanto si può accettare nel terso millennio, che essere umani siano venduti e comprati? Che insegnamento abbiamo da questo supermercato della carne dove tutto ha un prezzo, tutto si può comprare per due lire, compreso un essere umano?

Non si sta parlando si prostitute libere. Di libertà di scambio. E le case chiuse non possono sembrarci una soluzione solo perché ci tolgono dalla vista tale scempio.
Le ragazze vittime di tratta non possono scappare.
Isoke prima di riuscire a scappare definitivamente è stata aggredita e accoltellata più volte. Picchiata fino ad andare in coma. Ha trovato un compagno del quale non riusciva a fidarsi ma che l’ha aiutata a assolvere il debito e a liberarla. C’ha messo due anni per rimettere insieme la sua vita. E vive con sensi di colpa. Per essere sopravvissuta. Per avercela fatta. Si sente in colpa perché vive.

Scaturisce da questo il bisogno della casa d’accoglienza ad Aosta.
l percorso è difficile, e per la legge le vittime di tratta possono denunciare la loro condizione e avere un permesso di soggiorno per motivi di giustizia e protezione sociale.

Sulla carta. La realtà è molto diversa. Le prostitute non interessano nessuno, non sono di interesse politico. In più c’è il colore della pelle. Le nigeriane, bellissime nere non hanno possibilità di integrarsi. Sono difficili da piazzare nelle associazioni. È difficile per loro trovare lavoro.

La degradazione nella quale vivono ci deve coinvolgere e farci riflettere. Molti uomini, clienti usano violenza sulla prostitute. Pago, quindi dispongo di te. Nella associazione nella quale c’è il compagno di Isoke, molti uomini si sono messi in discussione. E chiedono aiuto e redenzione proprio a color che hanno pagano, che hanno comprato.

Isokè è rabbiosa, amareggiata e vuole che tutto il mondo sappia della sofferenza, dell’inferno che ogni donna schiava subisce.

Le storie sono tante e tutte stringono il cuore. Le parole non possono di certo contenere tutto questo dolore. Ma bisogna informarsi. Fa male ascoltare. Fa male leggere il libro. Alcuni non sono riusciti a finirlo. Perché è un libro verità.

Con un nodo alla gola c’è una sola domanda che viene fuori: cosa possiamo fare noi? Innanzi tutto parlarne. Parlare a tutti che la schiavitù non è stata abolita ma che ci sono 2 milioni e mazzo di persone, donne uomini e bambini che ogni anno vengono trattati come merce e anche merce da poco.

Cosa possiamo fare?
Comprare il libro. Possiamo leggerlo e regalarlo.
Comprate il libro grida la coordinatrice Lia Caldarola, a tutta la platea costernata.
Comprate il libro propone il consigliere provinciale Rino Basile, all’amministrazione.
Compratelo e diffondetelo nelle scuole.
Il preside del liceo scientifico B. Pellegrini si dichiara disponibile e disposto a coinvolgere tutte le quinte. Il sindaco promette che farà tutto il possibile, compreso sanzionare e punire legalmente tutti coloro che a Ruvo hanno dato in affitto tuguri inospitali a donne vittime di tratta.

Ma come giustamente suggeriscono, Irene Turtuto e Laura Maragnani, c’è ancora qualcosa che possiamo fare: salutarle. Perché l’indifferenza celata dal pietismo o dallo schifo ci rende complici. Salutare le donne che incontriamo ogni giorno. Sorridere loro e far capire che no, non sono invisibili. Che si vedono, e appare a tutti che sono splendidi essere umani. Innanzi tutto.

I più coraggiosi, quelli più sensibili e volenterosi, possono andare in uno dei centri di accoglienza, a Corato, Trani o Terlizzi, e portare loro un sorriso, un raggio di sole.
Restituire loro un po’ di quella dignità che violentemente abbiamo strappato alle loro anime.

venerdì 21 Settembre 2007

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