Attualità

Medaglia d’oro “Alla memoria” al brigadiere Vincenzo Amenduni

Elena Albanese
A capo della stazione dei Carabinieri di Feudo Nobile, in Sicilia, fu trucidato insieme ad altri sette colleghi dai Niscemesi del feroce fuorilegge Salvatore Rizzo
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E' l'inizio del 1946. Il 25 aprile dell'anno precedente, solo alcuni mesi prima, l'Italia è stata liberata dall'occupazione nazifascista. La guerra è finita, ma la nostra penisola ne è uscita devastata. La Sicilia, come buona parte del meridione, è ostaggio – fra le altre cose – del banditismo. Nella zona orientale dell'isola imperversano i Niscemesi capitanati da Salvatore Rizzo, fuorilegge senza scrupoli ed eversivi nei confronti dello Stato ufficiale.

Ed è proprio in questo contesto, nella provincia di Caltanissetta dell'immediato dopoguerra, che vive e opera Vincenzo Amenduni. Nato a Ruvo nel marzo del 1906, dopo aver conseguito la maturità classica, svolge il servizio militare nei Carabinieri. Nel 1932 sposa Maria Masi, da cui ha tre figli. Dal 1940, con il grado di brigadiere, dirige la caserma di Feudo Nobile, nei pressi di Gela.

Il 9 gennaio riceve da un gruppo di contadini una denuncia – poi rivelatasi tragicamente fittizia – per un pascolo abusivo. La mattina dopo si reca dunque sul posto indicato, in contrada Giaquinto, insieme a quattro colleghi della stazione. Mentre perlustrano la zona, l'arrivo di un gruppo di briganti a cavallo fa loro capire di essere caduti in un'imboscata. Tentano di resistere rifugiandosi in una cascina, ma una volta finite le munizioni vengono catturati dai gregari di Rizzo che, poco dopo, si recano nella caserma dandole fuoco e sequestrando anche gli altri tre militari rimasti all'interno.

Gli otto ostaggi, imbavagliati e legati, vengono costretti a un viaggio nelle campagne siciliane in compagnia dei loro aguzzini in fuga dalle Forze dell'ordine, che nel frattempo hanno cominciato le ricerche. Quasi 20 giorni di stenti e sevizie – durante i quali si tenta anche una trattativa per il rilascio, poi fallita – culminati nella drammatica esecuzione del 28 gennaio, quando Rizzo, sentendosi ormai braccato, ordina di farli uccidere tutti. 

Vengono assassinati a colpi di mitra e di moschetto, assistendo ognuno alla morte degli altri prima di lui, e gettati in una fossa profonda quindici metri nell'agro di Mazzarino, dove vengono ritrovati solo quattro mesi dopo, il 25 maggio, a seguito dell'arresto di uno degli esecutori materiali che, messo alle strette, confessa e guida gli inquirenti sul luogo della strage. E' difficile riconoscere i corpi in avanzato stato di decomposizione, quasi mummificati. Vincenzo Amenduni indossa ancora una maglia di lana e un cinto erniario e stringe a sè la foto dei figli Amelia, Michele ed Elvira.

L'arma dei Carabinieri e la Sicilia non hanno mai dimenticato il sacrificio di questi eroi, tributando loro encomi, rinnovandone ogni anno il ricordo, intitolando piazze e incidendo lapidi commemorative.

Ora per il 39enne brigadiere ruvese arriva anche la Medaglia d'oro al valore "Alla memoria", decretata lo scorso 5 aprile dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella su proposta del Ministro della Difesa Roberta Pinotti.

«Con ferma determinazione, esemplare iniziativa ed eccezionale coraggio, nel corso di un servizio perlustrativo, unitamente ad altri militari, non esitava ad affrontare un soverchiante numero di fuorilegge, appartenenti a pericolosa banda armata – si legge nella motivazione -. Fatto segno a proditoria azione di fuoco, replicava con l'arma in dotazione, dopo aver trovato rifugio all'interno di un fienile, resistendo strenuamente sino al termine delle munizioni, allorchè veniva catturato. Costretto a marcia forzata nell'agro nisseno per 18 giorni, sottoposto ad atroci sofferenze fisiche, ininterrotto digiuno e vessazioni, veniva, infine, barbaramente trucidato. Chiaro esempio di elette virtù militari e altissimo senso del dovere».

martedì 18 Ottobre 2016

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