Inferno sul binario unico, una ferita sempre aperta

Giuseppe Cantatore
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Oggi è un altro 12 luglio. Una data che, dal 2016, non rappresenta più un giorno come gli altri. Il racconto, attraverso parole e immagini sia dell'epoca che dei giorni nostri, della tragedia che ha sconvolto un intero territorio, segnandolo per sempre
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Oggi è un altro 12 luglio. Una data che, dal 2016, non rappresenta più un giorno come gli altri. Il racconto, attraverso parole e immagini sia dell'epoca che dei giorni nostri, della tragedia che ha sconvolto un intero territorio, segnandolo per sempre

Oggi è un altro 12 luglio. Una data che, dal 2016, non rappresenta più un giorno come gli altri. L’anniversario del disastro ferroviario avvenuto tra Corato e Andria rinnova il dolore per le 23 persone che non ci sono più e per chi è rimasto ferito nel fisico o nell’anima.

Impossibile cancellare, dal cuore e dalla mente, quanto accadde in quella giornata. La normalità di una mattinata estiva qualunque, improvvisamente interrotta dal telefono che squilla. Poi la corsa, il caldo, gli elicotteri, la polvere, il rumore, i feriti, le spighe di grano, gli ulivi, le cicale, la scena surreale di due treni uno dentro l’altro, le bare di alluminio, la speranza, la disperazione, lo stridere delle lamiere che venivano tagliate, la pena nel cuore.

In questo longform, riproponiamo – attraverso parole e immagini sia dell’epoca che dei giorni nostri – le tappe più importanti della tragedia che ha sconvolto un intero territorio, segnandolo per sempre.

Il racconto, già proposto lo scorso, anno, è stato arricchito degli ultimi sviluppi, quelli giudiziari e quelli relativi alla riapertura della tratta in cui si è verificato l’incidente. Ad aprile, infatti, i treni hanno ripreso a marciare tra Corato e Andria, ripassando dal quel maledetto chilometro 51. Meno di un mese fa, il 15 giugno, è invece arrivata la sentenza di primo grado. Un giudizio che ha condannato il capostazione Vito Piccarreta e il capotreno Nicola Lorizzo e assolto tutti gli altri imputati, suscitando l’indignazione dei familiari delle vittime.

Le famiglie delle vittime: «Per noi ogni giorno è il 12 luglio»

«Per noi ogni giorno è il 12 luglio». La voce, sommessa, è di Franco Caterino, papà di Luciano, il macchinista che quel giorno d’estate morì nello schianto tra treni che si verificò nel 2016 sul binario tra Corato e Andria. Franco non ha mai potuto riabbracciare suo figlio. Per riconoscerlo ha potuto vedere solo l’etichetta di un lembo del pantalone tirato fuori dalle lamiere. «Siamo orfani di figli», ribadisce commosso.

Nel 2021, in occasione del quinto anniversario del disastro, abbiamo parlato con lui insieme alla famiglia di Francesco Tedone – altra vittima della nostra città in quella tremenda giornata – papà Vincenzo e mamma Angela e i fratelli Natale e Tiziana, seduti tutti assieme nella sede dell’associazione nata per commemorare il giovane studente coratino, tornato poco prima dal Giappone e morto nelle campagne tra Corato e Andria.

Nella video intervista, le famiglie ricordano quella giornata, l’accavallarsi delle emozioni, il dolore e la disperazione, il vuoto incolmabile.

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Le famiglie delle vittime: «Per noi è ogni giorno il 12 luglio»

Dramma sulla ferrovia tra Corato e Andria. Il racconto attraverso le parole e le immagini del 2016

Il disastro ferroviario del 12 luglio 2016
Il disastro ferroviario del 12 luglio 2016

«Una tragedia immane». È l’unanime commento che arriva da chiunque sia giunto sul luogo del gravissimo incidente ferroviario che si è verificato questa mattina intorno alle 11.30. Il pesantissimo bilancio parla di  23 morti. I feriti sono 50, di cui 4 gravi.

L’incidente. Due treni, ciascuno con quattro vagoni, si sono scontrati in un tratto a binario unico in prossimità di una curva in aperta campagna sulla linea Bari-Nord tra Corato e Andria, nei pressi delle casa cantoniera. A bordo soprattutto studenti e pendolari. Nel violentissimo impatto frontale sono rimaste coinvolte le prime due carrozze di ogni treno che si sono completamente accartocciate. In tutta la zona del disastro ferroviario si sente un odore soffocante di gasolio.

I soccorsi. Sul posto sono intervenuti 118, vigili del fuoco, polizia locale, guardia di Finanza, Corpo forestale e carabinieri. Complicato per i soccorritori raggiungere il luogo in cui si è verificato l’incidente. Per avvicinarsi ai treni sono stati anche abbattuti alcuni muretti a secco. Si sta lavorando alacremente in condizioni molto difficili sotto il sole cocente per estrarre dalle lamiere dei vagoni i corpi delle vittime e i tantissimi feriti che vengono trasportati negli ospedali del territorio. Alcuni elicotteri stanno sorvolando la zona e stanno trasportando alcuni feriti a Bari.

Cause e inchieste. L’ipotesi dell’errore umano al momento sembra essere la più accreditata. Ma tutto dovrà essere vagliato dagli inquirenti. Tre le inchieste sulla tragedia: una della Procura della Repubblica di Trani (sostituto procuratore Francesco Giannella, tra i primi ad accorrere sul posto), una interna di Ferrotramviaria che gestisce la linea e una del ministero dei Trasporti.

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Le prime immagini dal luogo dell'incidente

I soccorsi

I soccorsi
I soccorsi
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I soccorsi

La disperazione tra le lamiere

Il sindaco Mazzilli sul luogo dell'incidente: «È come se fosse caduto un aereo»

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Il sindaco Mazzilli sul luogo dell'incidente: «È come se fosse caduto un aereo»

Il disastro ferroviario sulle prime pagine di tutto il mondo

Il premier Renzi tra i vagoni del disastro: «Tragedia immane». Papa Francesco: «Prego per le vittime»

Il premier Renzi tra i vagoni del disastro
Il premier Renzi tra i vagoni del disastro

Il premier Matteo Renzi ha raggiunto i binari della tragedia ferroviaria. «Lacrime e dolore per le vittime e le loro famiglie. Ma anche tanta rabbia. Pretendiamo chiarezza su ciò che è avvenuto in Puglia stamani» scrive dal suo profilo Twitter.

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha invece espresso «profondo dolore» riguardo al disastro. «Il mio primo pensiero – ha detto il capo dello Stato – va alle tante vittime e ai loro familiari, ai quali desidero far pervenire vicinanza e solidarietà. Ai feriti rivolgo gli auguri di pronta guarigione». Il presidente della Repubblica ha aggiunto: «Bisogna fare piena luce su questa inammissibile tragedia: occorre accertare subito e con precisione responsabilità ed eventuali carenze», ha tuonato la prima carica dello stato.

Dura reazione alla sciagura da parte del ministro dei trasporti, Graziano Delrio. «Siamo vicini alle famiglie, stabiliremo un’unità di crisi per coordinare al meglio le informazioni per le famiglie. Il mio ringraziamento va alle squadre di soccorso che stanno lavorando per mantenere viva qualche speranza. È un incidente di proporzioni enormi e avvieremo una commissione d’indagine per capire le cause di questa tragedia. Lo scontro è stato violentissimo» ha detto il ministro.

Anche Papa Francesco ha espresso cordoglio per la tragedia avvenuta sui binari della Bari Nord. «Appresa la notizia del grave incidente ferroviario avvenuto sulla linea Corato-Andria, nel quale hanno perso la vita numerose persone, sua santità Papa Francesco esprime la sua sentita e cordiale partecipazione al dolore che colpisce tante famiglie» si legge in un telegramma firmato dal segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Pietro Parolin. «Egli assicura fervide preghiere di suffragio per quanti sono tragicamente morti – prosegue la nota – mentre invoca dal Signore per i feriti una pronta guarigione, affida alla materna protezione della Vergine Maria quanti sono colpiti dal drammatico lutto ed invia la confortatrice benedizione apostolica».

Le testimonianze. Una ragazza: «Ho visto le mie amiche morire»

Un vagone distrutto
Un vagone distrutto

Sono storie terribili quelle raccontate dai sopravvissuti alla tragedia ferroviaria di oggi. Per tutte un elemento in comune: sembrava un viaggio come tanti e poi, d’improvviso, lo schianto Una studentessa universitaria ci racconta tra le lacrime: «Ho visto le mie amiche morire davanti a me, senza poter fare nulla. È una scena che non dimenticherò mai, abbiamo sentito lo schianto e nessuno si spiegava il perché».

La confusione e lo shock sono stati fortissimi anche per un’altra ragazza che lavora in un noto pub andriese. «Non so come sia successo» dice ancora attonita. «So soltanto che eravamo partiti da Andria e abbiamo sentito la botta fortissima. Non si riusciva a capire nulla. Sentivamo le urla, ma fino a che non sono arrivati i soccorsi eravamo tutti in stato di shock».

Tante le testimonianze di dolore e sconcerto anche presso gli ospedali. Ad Andria i parenti di tanti dispersi aspettano ancora notizie: «Da stamattina non riusciamo a sapere se i nostri cari siano sopravvissuti e in che condizioni siano. Confidiamo nelle forze dell’ordine e nei medici che stanno facendo anche l’impossibile, ma vorremmo una comunicazione più precisa».

Nell’ospedale di Corato sono state un quindicina le persone soccorse: tutte sono state medicate e dimesse tranne tre che sono state ricoverate in osservazione. Intanto dalle macerie continuano a essere estratte persone senza vita.

I soccorritori: «Non lo dimenticheremo mai»

Lo sconforto dei soccorritori
Lo sconforto dei soccorritori

Una giornata piena di suoni e rumori. Di silenzi, di scarpe e di terra. Questo sono state le interminabili ore di dolore passate sotto il sole che ha reso sempre più roventi le lamiere dei due treni della Bari Nord, e i binari tra Corato e Andria, protagonisti delle pagine di cronaca dei giornali di tutto il mondo.

C’erano le sirene delle ambulanze, le motoseghe, i motori dei mezzi dei soccorritori, gli pneumatici sulle pietre delle strade sterrate. E poi gli elicotteri, tanti, che andavano e venivano in quell’orto che ancora doveva rinascere e che si è trasformato – suo malgrado – in un’ottima pista di atterraggio e di decollo per i viaggi dell’ultima speranza.

Sopra ogni cosa, le cicale. Il loro è stato un canto ininterrotto, un sottofondo naturale a cui non si poteva fare a meno di abituarsi: dopo alcune ore sembrava quasi di non sentirle più. Solo quando da quella campagna ci si allontanava per andare verso la strada che riporta in città, le cicale non c’erano più. E in mente tornavano le voci e i silenzi.

Urla, disperate. Quelle di chi ha raggiunto quel maledetto binario nella speranza – vana – di trovare un parente o un amico sano e salvo tra gli ulivi.

Voci strozzate, quelle dei colleghi della Ferrotramviaria. Impossibile non riconoscerli, con la cravatte in disordine, la camicia azzurrina e la testa bassa. A volte seduti sui muretti, altre accasciati sotto gli ulivi, unici – questi ultimi – ad avere ancora a che fare con la pace. Hanno perso degli amici e, chissà, magari si sono domandati perché su quei due treni non c’erano loro stessi.

Tra la gente anche i bambini, magari in attesa dei genitori. E i giovani come Felice, in cerca di sua cognata: «ogni giorno da Andria va a Bari per lavorare in un centro estetico. Solitamente non prende questo treno ma il successivo. Oggi purtroppo è partita prima, siamo sicuri che sia salita sul treno dell’incidente. Non risponde al telefono. Mio fratello, il suo fidanzato, è vicino alle lamiere: speriamo tanto di ritrovarla viva» . Nell’attesa però, i due giovani continuano a chiedersi perché – proprio oggi – la giovane donna non abbia preso il treno di sempre.

E poi l’eco che arrivava attraverso i cellulari o i social network da tutti i coratini che, vivendo lontani dalla loro città di origine, avvertivano ancora più forte il bisogno di manifestare la propria vicinanza. Ognuno a suo modo.

Infine i silenzi.  «Intorno alle 15 ne abbiamo fatti almeno tre» racconta uno dei vigili del fuoco di Corato intervenuti per primi pochi minuti dopo la tragedia. Non quei minuti commemorativi spesso privi di compassione profonda, etimologicamente intesa. «Sono minuti di silenzio che hanno una ragione specifica: servono a capire se sul luogo della cronaca c’è ancora qualcuno che si lamenta o chiede aiuto. O semplicemente respira»  ci spiega un giovane pompiere coratino. Purtroppo, silenzi che nessuno ha rotto. «Mai come oggi speravamo di sentire una voce, anche debole, piccola. Ci siamo concentrati il più possibile ma non è servito a nulla»  ammette.

Dal distaccamento di Corato, così come dal comando di polizia municipale, gli uomini sono arrivati sul luogo dell’incidente in pochi minuti. A raccontarlo c’erano anche le loro scarpe: completamente impolverate già alle 12. Sembrerà strano notarle eppure, quando la cronaca è così cruda e si sceglie di rispettare la sacralità del lenzuolo bianco che copre le vittime, possono anche essere le scarpe a raccontare i fatti.

«Ci siamo trovati innanzi a delle scene strazianti, nella mia carriera non avrei mai pensato che potesse capitare una cosa del genere»  confessa Giuseppe Loiodice, vice comandante della polizia municipale di Corato. Le sue scarpe sì, la dicevano lunga. Per fortuna l’esercito dei soccorritori volontari ha risposto, così come hanno fatto i cittadini che sono andati a donare il sangue.

«Sono scene a cui non ci si abitua mai – ammettono i vigili del fuoco –  e nonostante tutto è necessario in quei momenti rimanere concentrati, quasi freddi. Oggi è accaduto che al nostro arrivo tanti passeggeri già scesi dal treno con le proprie gambe non hanno esitato a dire di non preoccuparci di loro ma di correre sui treni. Avevano ragione: l’inferno era lì. In alcuni casi abbiamo dovuto letteralmente ricomporre i corpi. I medici constatavano i decessi e poggiavano sui corpi dei bigliettini con dei numeri: era il modo più rapido per “identificarli”. Poi a noi spettava il compito di riporli in dei sacchi e portarli all’esterno dei vagoni. Insieme al mio collega abbiamo compiuto queste operazioni almeno per undici vittime. Solo un grande pianto liberatorio, alla fine del turno, ci ha permesso di continuare a vivere questa giornata che non dimenticheremo mai» .

Fino alla mezzanotte scorsa ben 23 persone, tra adulti, ragazzi e bambini, con quei numeri sono arrivati a Bari. Le famiglie sono state avvisate ma solo questa mattina si potrà procedere con il riconoscimento. Purtroppo però il numero delle vittime è destinato a salire: molti dei feriti non ce l’hanno fatta durante il trasporto in ospedale. Altri sono morti poco dopo. Persone e storie, queste, di cui ancora non si ha contezza in maniera precisa.

Al momento è stato accertato che  almeno due vittime sono coratine , tra questi uno dei macchinisti e un ragazzo molto giovane. Oggi continueranno ad arrivare aggiornamenti ma una cosa è certa: quei treni che per tutti noi cittadini del nord barese sono compagni di scuola, università e lavoro, o magari alleati nelle storie d’amore, da ieri non sono più gli stessi.

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Tra le lamiere

Gli angeli del fuoco: «Le ore che ci hanno segnato per sempre»

I vigili del fuoco al lavoro tra le lamiere
I vigili del fuoco al lavoro tra le lamiere

L’inferno ha il frinire delle cicale e il sole che picchia in testa. Ha un treno, anzi due, che non fanno più fermate. Ha il colore del sangue e il disegno infame del futuro spezzato. Poi ci sono gli angeli delle lamiere. I vigili del fuoco. Quelli che hanno provato  a ribellarsi all’inferno.

Maurizio è un vigile del fuoco. Fa parte della squadra di Molfetta, martedì è stato chiamato urgentemente, assieme ad altri quattro colleghi, per recarsi all’incrocio tra la vita e la morte. Lì, tra Corato e Andria, dove il binario unico diventa binario morto. È stato tra i primi a soccorrere i feriti, ma anche a raccogliere i corpi privi di vita. Minuti, ore, con il fiato sospeso.

«Siamo arrivati poco dopo i vigili del fuoco di Corato – racconta Maurizio – intorno alle 11.30. Quando ci hanno chiamati non sapevamo a cosa andassimo incontro. Ho intuito che fosse qualcosa di grave solo quando ho visto gli elicotteri dei vigili del fuoco e della polizia di Stato che sorvolavano la zona».

Lì il primo sospiro, la paura di intervenire in un luogo di dolore, ma anche la speranza di lenire, fino ad annullare, ogni dolore possibile. All’ingresso di Corato, Maurizio e gli altri sono accolti dalla polizia locale, che li scorta fino al punto fatale. Si va al massimo della velocità su una strada sterrata, con il motore che romba, la polvere che si alza. Una nuvola che di lì a poco si diraderà, aprendo il sipario sul palcoscenico del dramma.

«Inizialmente – prosegue Maurizio – siamo approdati nella zona più densa di alberi. Poi, arrivati al punto dello scontro, tra i vagoni semidistrutti, abbiamo usato una scala come se fosse un “ponte” tra i vagoni, con l’obiettivo di trasportare le attrezzature e quindi di soccorrere. A un certo punto ho alzato lo sguardo e ho visto feriti dappertutto, il vagone praticamente in piedi, le lamiere ovunque».

Qui inizia l’attività frenetica ma dolorosa dei vigili del fuoco. In condizioni estreme, tra lamiere da tagliare, rottami da spostare, un caldo tremendo, l’elmetto e la giacca anti fiamme.

«Abbiamo dato il massimo, il mille per mille – dice ancora – Ne abbiamo tirati fuori quattro. La seconda persona mi ha profondamente colpito. Era rannicchiata in un angolino, circondata dall’inferno, sembrava illesa. Era vigile, e questo ci rincuorava, ci dava fiducia e speranza. Ecco, mi piacerebbe rivederla e salutarla, sarei felice di dire che, sì, ce l’abbiamo fatta».

Tra le altre persone ferite, ma salve, un bambino, quello di sette anni di cui si parla in queste ore in tanti tg, per la cui salvezza è stato importante anche un elisoccorritore, il primo ad arrivare sul posto. Poi comincia la pagina nera del  libro di quel giorno.

«È stato tutto un recuperare vittime. Sembrava un film – si sforza di ricordare –  c’era concitazione, frenesia. Corpi ovunque, uno sull’altro, incastrati nel ferro. Tante le scene che mi sono rimaste impresse. A un certo punto ho visto una mano, con la fede al dito. Ho pensato che  qualcuno, da qualche parte, stesse aspettando quella persona. Non l’avrebbe più vista. E non riesco a scordare, durante la ricognizione, lo squillare di un telefono. Era di una delle vittime».  Il disperato tentativo di mettersi in contatto con il proprio caro. La risposta che non arriva. E dall’altra parte della cornetta il cuore in tumulto.

Altra scena mozzafiato è quella legata al silenzio. « Per tre o quattro volte  – narra –  ci hanno detto di non fare neanche il minimo rumore. Circa cinque minuti in cui si faceva i conti solo con il frinire delle cicale. Con l’obiettivo di sentire voci e lamenti, di salvare vite». .

Maurizio trattiene a sforzo le lacrime. Le parole escono veloci, in modo quasi nervoso. Costruiscono immagini per chi ascolta, le ricostruiscono in chi le pronuncia. C’è spazio, certo, per un moto d’orgoglio, per i soccorsi che hanno funzionato benissimo, per la consapevolezza di aver dato tutti se stessi. Al punto da restare per ore e ore, anche dopo il cambio turno. C’era troppo da fare, in quella giornata maledetta.

«Impossibile dimenticare queste scene – conclude – Sei lì e ti rendi conto che certe cose possono capitare a chiunque. La sera ho avuto bisogno di incontrare un amico. Era troppa la voglia di sfogarmi, di parlare, di avere qualcuno vicino».

Troppo cuore, troppa umanità. Maurizio e i suoi colleghi, di Corato, Molfetta, Barletta e Bari. Angeli del fuoco, quelli della speranza. Che deve vincere sempre. Anche quando tutto sembra nero. E il binario unico non lascia scampo.

Un biglietto per il treno sbagliato

Un biglietto per la corsa Corato-Andria datato 12 luglio 2016
Un biglietto per la corsa Corato-Andria datato 12 luglio 2016

Due biglietti come questo, uno obliterato ad Andria e uno a Corato. Nello stesso giorno e nella stessa ora, il 12 luglio poco prima delle 10.58. Uno per il treno bianco e l’altro per quello giallo. Prima che questi due colori si fondessero in un’unica tragedia, quello ritratto in foto era un biglietto che tutti noi cittadini del nord barese conosciamo benissimo. I libri spesso ne sono pieni, magari per “mettere il segno” nelle nostre letture. Dopo il 12 luglio invece, questo biglietto è diventato una pagina del libro della storia della nostra terra.

«Lo conserverò a vita» dice Domenico che, insieme a Giovanni, ha sentito il bisogno di raccontarci gli attimi terribili vissuti sul binario unico che ha portato alla morte 23 persone.

Domenico era sul treno giallo: lui è un giovane coratino di 24 anni che lavora in un bar ad Andria, lì dove si stava recando la mattina del 12 luglio. Giovanni invece, quasi 17enne, aveva appena finito una lezione a scuola e stava tornando a casa a Corato insieme ai suoi amici. Giovanni e Domenico non si conoscono. Oggi le loro vite sono legate sulle nostre pagine e per sempre lo saranno a causa di quei due treni diventati uno solo.

Il posto a sedere
Qualcuno ha protetto entrambi: avevano deciso di sedersi nei vagoni centrali e poi, poco dopo essere partiti, si sono sposati verso l’ultima carrozza. Si sono allontanati fra loro guadagnandosi la salvezza.

«Secondo il mio amico c’erano più posti liberi» racconta Giovanni. Più sottile la scelta di Domenico:  «appena salito ero con altri ragazzi della mia età. Poi, non so spiegare perché, non mi sentii comodo. Dopo un centinaio di metri dalla partenza il treno rallentò e si fermò: “è normale” pensai, infatti ripartì. Poi di nuovo, si bloccò. Ebbi una strana sensazione, mi alzai e cambiai posto».

L’incontro maledetto
«Faceva molto caldo, c’erano quasi 38 gradi. Prima di salire sul treno avevo comprato un’altra bottiglietta di acqua»  ricorda Giovanni. Ascoltarlo nel suo racconto preciso e dettagliato ci ha permesso di “rivivere” quei momenti. «Mi ero quasi addormentato dopo il curvone che, da sempre, porta il treno a Corato». Poi «il boato», la testa sbattuta violentemente contro il sedile che «sembrava un masso» e il compagno di classe seduto difronte «spiaccicato» contro di se. Sembrò «una bomba esplosa – conferma Domenico – in grado di mandare tutto in frammenti».

La fuga 
Come molti, Giovanni pensava che si trattasse di un camion prima di vedere attraverso il finestrino le ferraglie della Bari Nord sparse per la campagna. Su quel fazzoletto di terra tranese ormai bagnato per sempre di lacrime e sangue. L’aria sui vagoni si fece immediatamente polvere, unica la preoccupazione: scappare e aiutare i feriti a fare altrettanto.

Con «quel poco di internet» che gli era rimasto, Giovanni mandò un messaggio: «mamma per favore chiamami, qui è successo un disastro». All’improvviso i passeggeri che riuscivano a stare in piedi da soli e camminare si trasformarono in un’unica squadra con un’importante partita da vincere: far scendere tutti dai treni, liberare le gambe, le braccia e i visi dalla trappola delle lamiere.

Insieme ad un altro amico e ad un signore ben piazzato, Giovanni aprì le porte e mandò in frantumi i finestrini. Una volta scesi, i due ragazzi trovarono un incubo ad attenderli: «il primo vagone non esisteva più, il secondo era messo molto male. Sul terreno c’erano le persone prive di vita, scaraventate fuori dal treno con una violenza inaudita» .

L’orto degli ulivi
«Mentre cercavamo di aiutare tutti a scendere dal treno, sentimmo i lamenti di un uomo intrappolato fra le lamiere. Lo tirammo fuori e lo portammo all’ombra di un ulivo: non so nulla di lui ma vorrei tanto scoprire che sta bene. Non molto distante da lui c’era un altro signore, solo dalla posizione delle orecchie mi accorsi che i suoi occhi guardavano il cielo: la sua testa era stata sfigurata per sempre dalle ferraglie del treno. Prendemmo in braccio una signora e utilizzai la bottiglietta dell’acqua che avevo comprato prima di salire sul treno per pulirle il viso dal sangue. Anche un ulivo era stato abbattuto e sotto, coperto dai rami e dalle foglie, vidi un braccio pieno di polvere. Non ebbi il coraggio di abbassarmi, spostai un ramo con il piede e purtroppo vidi che quel braccio non continuava» .

I soccorsi
«Quando mamma e papà arrivarono»  Giovanni corse da loro. Ma pochi minuti dopo la famiglia si divise di nuovo: «mamma fece salire in macchina me, i miei amici e altri due signori. Eravamo strettissimi in auto ma dovevamo andare tutti via di lì, verso l’ospedale. Papà invece rimase su quel binario, fino al tardo pomeriggio. Martedì era in ferie e indossava i vestiti con cui era andato in campagna. Scelse di rimanere ad aiutare i suoi colleghi alle prese con i feriti e le vittime» .

Domenico invece fu riaccompagnato in stazione dai soccorritori, ancora sotto shock e con la mente piena delle urla di dolore ascoltate e delle immagini viste poco prima: «quando tornai a casa mi resi conto dei graffi che avevo sulle braccia. Ora mi sento divorato dalla tristezza per tutte le persone che non ce l’hanno fatta. Mi sono chiesto quale sarebbe stato il mio destino se non avessi cambiato posto». Domenico oggi, come tutti, chiede giustizia per «uno sbaglio che si poteva evitare e che invece ha falciato troppe vite innocenti» .

Il desiderio
Senza ancora aver compiuto 17 anni, Giovanni ha vissuto in prima persona la tragedia della tratta Corato-Andria e poi ha appreso la notizia della strage di Nizza. Oggi, da un lato si chiede  «cosa voglia il mondo»  e dall’altro riflette: «ho imparato che le persone sanno aiutarsi tra loro e che anche io, nonostante la paura, sono stato disponibile». Ancora una volta, i più piccoli sono i migliori maestri.

Le 23 vittime

I nomi delle 23 vittime dell’incidente

Pasquale Abbasciano nato ad Andria il 17.04.1955
Giuseppe Acquaviva nato ad Andria il 15.02.1957
Serafina Acquaviva nata ad Andria il 14.05.1954
Maria Aloysi nata a Bari il 4.10.1966
Alessandra Bianchino nata a Trani il 5.11.1987
Rossella Bruni nata a Trani il 16.03.1994
Pasqua Carnimeo nata a Modugno l’1.11.1985
Enrico Castellano, nato ad Ostuni l’1.1.1942
Luciano Caterino nato a Ruvo di Puglia il 29.04.1979
Michele Corsini nato a Milano il 20.02.1955
Albino De Nicolo nato a Terlizzi il 23.01.1959
Salvatore Di Costanzo nato a Bergamo il 2 11.1959
Giulia Favale nata in Francia il 04.07.1965
Nicola Gaeta nato a Bari il 16.01.1960
Jolanda Inchingolo nata ad Andria il 10 12.1991
Benedetta Merra nata ad Andria il 18.06.1964
Donata Pepe nata a Cerignola il 03.10.1953
Maurizio Pisani nato a Pavia il 26,08,1966
Fulvio Schinzari nato a Galatina il 31.10.1957
Antonio Summo nato a Terlizzi il 12.11.2001
Francesco Ludovico Tedone nato a Terlizzi il 4.01.1999
Gabriele Zingaro nato ad Andria il 30.10.1999
Giovanni Porro nato ad Andria l’1.06.1956

«Ciao Tedò! Continueremo questa corsa per te». La lettera degli amici di Francesco

Francesco Ludovico Tedone
Francesco Ludovico Tedone

Francesco Ludovico Tedone, un ragazzo di soli 17 anni. Era tornato dal Giappone nei giorni scorsi: dopo aver studiato lì per diverso tempo, il prossimo anno avrebbe dovuto frequentare la scuola in Italia. Stava andando ad Andria, dove frequentava l’istituto industriale, per incontrare un professore, ma purtroppo non vi è mai arrivato. «Voglio pensare che tu sia ancora in Giappone, che in questo momento ti stia divertendo come un matto o che magari stia giocando a qualcosa. Solo così ti voglio ricordare» scrive una sua umica su facebook.

I suoi amici hanno avuto la forza di prendere la penna tra le mani e scrivergli una lettera. A nome di tutti loro, Rosanna Calò firma queste righe indirizzate al cielo, a quella lanterna da rincorrere che da ieri si chiama Francesco, “Tedò” come lo chiamavano i ragazzi.

«Caro Tedone, so, sappiamo, che non ti piace leggere, ma questo mi sa che ti tocca leggerlo. Mi hai sempre detto “se scriverai un libro, non lo leggerò, scusami, però ti giuro che lo compro”. E lo sai che ti dico, non leggerlo. Però, leggi questo. Leggi quello che ci hai lasciato, leggi i nostri sguardi, leggi le nostre lacrime, lasciacele versare ancora un po’, poi ti promettiamo che la smettiamo.

Oggi però, lasciaci guardare il cielo mentre immaginiamo ancora che la lanterna che abbiamo lanciato ieri stia sorvolando le nuvole. O forse non sta volando più, forse l’hai afferrata al volo, come ha detto Massi ieri.

In fondo che ci vuole ad afferrare una lanterna, ora sei anche diventato muscoloso, sportivo. Quando sei tornato dal Giappone sei piombato a casa mia in piena mattinata, con la tua fantastica maglia gialla e i tuoi nuovi pettorali, e la tua borsa dove tenevi le racchette da Badminton, perché la prima cosa che hai voluto fare con me è stata giocare al tuo sport preferito.

Ti ho visto correre, ti ho visto colpire il volano in posizioni impensabili, proprio tu che l’anno scorso a malapena ti saresti alzato dal divano per venire a casa mia a piedi. E ora guardati, sei un piccolo sportivo. Ti abbiamo trovato un altro talento, mancava solo quello. Tra i 7 migliori giocatori di tutta Puglia a LOL; un mega nerd; un genio a scuola senza il bisogno di aprire un libro, anzi uno lo aprivi, quello di Giapponese; sei perfino un b-boy, abbiamo visto un tuo video mentre lasciavi a bocca aperta i Giapponesi col tuo freestyle; grande acculturato di anime e manga; sempre aggiornato su tutto, qualunque cosa ti chiedessimo tu avevi sempre un’opinione al riguardo; ora sei diventato anche un atleta. Sei sempre stato una persona brillante. Sei energia, sei ambizione, sei quel corridore che non si stanca di correre anche se le gambe gli stanno scoppiando.

Allora, Tedò, lo sai che ti dico? Che nemmeno noi ci fermeremo. Nessuno di noi si fermerà, noi continueremo questa corsa con te e per te. Allora guardaci. Guarda Stefano che ha iniziato a ballare grazie a te, che ti deve la parte più importante della sua vita, ti deve la sua ambizione, ti deve la sua passione.

Guarda Mattia, guardalo mentre scatta le foto, perché se ha continuato a farlo ed è arrivato lì dov’è lo deve a te e alle vostre giornate insieme a parlare di sogni, di ambizioni, di tutto.

Guarda Federica, guardala dopo il suo anno in India, guardala perché insieme avete condiviso un sogno, avete condiviso la partenza, avete condiviso il ritorno, avete condiviso tutto quel miscuglio di emozioni che c’è dopo.

Guarda Alessia, guarda i suoi occhi mentre sogna il Giappone, che in fondo l’hai fatto sognare pure a lei, gliel’hai fatto in qualche modo vivere, le hai ricordato che nella vita tutto è possibile.

Guarda Diaferia, guardala perché finalmente crede nei sogni, crede in te, crede in voi, crede in qualcuno e non si sente sola, perché tu ci sei, tu non abbandoni nessuno, tu sarai sempre il suo migliore amico, e nessuno lo sarà meglio di te.

Guarda Gianvito e Adriana, guardali perché con te sono cresciuti, perché sono ancora qui, sono ancora parte di questa grande famiglia e non smetteranno mai di esserlo, saranno sempre tuoi fratelli.

Guarda Massi, guardalo, è sempre il solito scemo, è cambiato un sacco in Brasile e in fondo è rimasto lo stesso, tu lo sai, chi meglio di te lo sa, quanto ti ha stressato ogni giorno? Quanto era bella la sua faccia stupita quando ti ha visto arrivare a piazza Palermo? Quanto l’hai fatto crescere con la tua semplice presenza?

E poi, guarda anche me. Guardami mentre scrivo, perché tu mi dici sempre di scrivere, di non smetterla, di continuare. Guardami mentre gioco a basket, perché tu ascoltavi sempre le descrizioni delle mie partite e dei miei allenamenti, e guardami mentre suono Il Valzer della Luna per te, la nostra melodia, il nostro ballo.

Guardaci. Guardaci mentre siamo seduti in cerchio e guardiamo la tua lanterna che vola. Guardaci mentre ci abbracciamo forte, mentre ti abbracciamo forte, perché tanto ora sei muscoloso, anche se ti facessimo un cappottone, tu lo sopporteresti senza problemi.

E allora guardaci, noi continueremo a correre insieme a te in questa maratona lunghissima. Non so se riusciremo a tenere il passo, ma tu comunque aspettaci, non correre troppo veloce. Sarà dura, ma arriveremo, tutti insieme.

Perché come c’è scritto sulla maglia che mi hai regalato lunedì mattina: “questa strada è molto difficile, ma se non la percorrerai, sarà ancora più difficile”.

Allora ganbatte-yo, Tedò. Percorriamo questa strada insieme, perché anche se sarà difficile, noi non ci fermeremo.

Guardaci mentre stasera, alle 20, partiremo tutti insieme dal Comune per ricordare te e tutti quelli che erano su quel treno, tutti quelli che hanno sofferto, tutti quelli che stanno soffrendo, tutti quelli che pensano di aver perso qualcuno. E sottolineo “pensano”, perché in realtà nessuno ha perso nessuno, sono tutti qui. Sono tutti qui, e tu sei qui con noi. Ti vedo, sei quel ragazzo con la maglietta esageratamente sgargiante che corre con i capelli rossi svolazzanti. Ti vedo, stai correndo. E tu, ci vedi? Anche noi stiamo correndo».

Luciano, il macchinista. Per gli amici «continuerà ad esserci sempre»

Luciano Caterino
Luciano Caterino

Amava la campagna, sognava di andare a viverci. Il destino crudele, invece, ha deciso che sulla nuda terra il suo cuore dovesse smettere di battere. Per sempre.

Il macchinista Luciano Caterino ha eseguito l’ordine di partire dalla stazione di Andria e poi si è ritrovato contro il treno guidato da un altro collega, Pasquale Abbasciano, che viaggiava in direzione opposta. Due vite spezzate, accomunate dalla dedizione verso lo stesso lavoro. Secondo i testimoni dell’incidente, prima della tragedia da entrambi i treni si sono avvertiti gli estremi tentativi di frenata.

Luciano era un coratino di 37 anni, Pasquale un 61enne andriese che aveva sposato una dipendente del Comune di Corato: nei prossimi mesi avrebbe accompagnato sua figlia all’altare. A piangere la scomparsa di Luciano ci sono il papà Francesco e i fratelli, Michele e Danilo. La loro ormai da nove anni era una squadra che ha dovuto giocare partite importanti senza avere più un elemento fondamentale, la mamma, anche lei scomparsa troppo presto. Una  «famiglia di lavoratori e di brava gente»  come l’ha definita il sindaco Massimo Mazzilli.

Una famiglia che oggi si ritrova circondata da quanti a Luciano hanno voluto bene: «questa mattina – ci racconta il fratello Michele – stavamo portando avanti le tristissime fasi del riconoscimento a Bari e in tanti sono venuti a salutarci. Persone che non conoscevamo ma che avevano negli occhi lo stesso nostro dolore per la perdita di Luciano».

Lo descrivono tutti come  «un uomo dall’animo gentile e raffinato, introverso ed educato, a tratti anche un po’ timoroso. Una di quelle rare persone buone, in cui spicca la beltà d’animo»  conferma una sua amica. «Per la sua gentilezza, per il suo sorriso, per la sua purezza d’animo e la disponibilità. Luciano era vero. Era impossibile non volergli bene. Era impossibile litigarci, non fermarsi per strada a salutarlo, a prendersi in giro e a scherzare anche se non ci si vedeva da tempo. Perché Luciano c’era sempre e ci sarà sempre».

Tanti amici, del “Tannoia” e non solo, lo hanno ricordato così, incapaci di razionalizzare un fatto del genere, sconvolti e increduli, adesso più pieni di lacrime che di parole.

Bandiere a mezz'asta, proclamato il lutto cittadino

Lutto cittadino
Lutto cittadino

Il sindaco Massimo Mazzilli ha indetto il lutto cittadino che andrà fino al giorno dei funerali «in segno di rispetto e partecipazione al profondo dolore delle famiglie e della comunità coratina». Una scelta nata dal desiderio di interpretare «il sentimento comune della popolazione».

«L’intera città – scrivono dal Comune – è rimasta scossa dal grave disastro ferroviario che si è verificato ieri sulla tratta Corato-Andria e dalla tragica scomparsa dei concittadini. Per questo l’amministrazione rimarca l’intenzione e la volontà di partecipare al dolore dei familiari delle vittime e dell’intera comunità coratina, anche in forma pubblica ed istituzionale. Si vuole testimoniare la vicinanza di tutta la Città, in ogni sua componente alla grave tragedia».

Il sindaco ha deciso anche che si sospendano con effetto immediato tutte le manifestazioni pubbliche in programma nei giorni del lutto cittadino. Inoltre, bandiere a mezz’asta nelle sedi comunali e in tutte le sedi pubbliche. A cittadini, titolari di attività commerciali, organizzazioni politiche, sociali e produttive e associazioni l’amministrazione chiede di esprimere la loro partecipazione al lutto cittadino mediante la sospensione delle attività in segno di raccoglimento e rispetto.

La fiaccolata: una marea di persone in strada

Una marea di persone, tra cui molti giovani. Un lungo fiume di persone si è riversato in strada, composto e silenzioso, per ricordare le vittime della sciagura ferroviaria di ieri mattina sulla tratta fra Andria e Corato. Il corteo, partito da piazza Cesare Battisti, si è poi diretto verso la stazione, dove le lacrime straziate hanno scomposto la visione delle fiammelle. È il momento del silenzio, del rispetto e del dolore per tutta la città.

Intanto questa sera ad Andria – l’altra città gravemente colpita da questa tragedia – piazza Duomo e la Cattedrale erano gremite di persone che hanno partecipato alla veglia di preghiera testimoniando la propria vicinanza a tutte le vittime e alle loro famiglie.

In migliaia hanno voluto partecipare a questo abbraccio commosso nei confronti di quanti vivono il dolore per la scomparsa di un proprio caro. Tra i presenti anche alcuni parenti di chi non ce l’ha fatta. Il Vescovo, mons. Luigi Mansi, ha rimarcato l’esigenza di procedere immediatamente alla messa in sicurezza del tratto ferroviario sotto accusa. Ha, inoltre, ribadito la vicinanza della Chiesa alle famiglie delle vittime, garantendo tutto il sostegno di cui hanno bisogno.

Intanto, nel pomeriggio di domani, è previsto l’arrivo a Bari del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che visiterà la camera ardente.

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La fiaccolata

Il Presidente Mattarella incontra i parenti delle vittime: «Sarà fatta giustizia»

«Un uomo che sta mostrando tutta la sua umanità». Così è apparso ai presenti il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, arrivato nel Policlinico di Bari per abbracciare le famiglie delle vittime della tragedia che si è consumata sul binario che collega Corato e Andria. Oltre alle famiglie, erano presenti anche i sindaci dei Comuni di appartenenza delle vittime. Tra loro anche il primo cittadino di Corato, Massimo Mazzilli.

Commossi i parenti di Luciano Caterino e Francesco Tedone, le due vittime coratine. Mattarella è stato accolto dal sindaco di Bari, Antonio Decaro, e dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. «Sarà fatta giustizia» ha detto il presidente. A ricevere la visita di Mattarella anche tre feriti ricoverati in ospedale, mentre il quarto si trova in rianimazione.

Il giorno del dolore: i funerali solenni ad Andria

I funerali solenni ad Andria
I funerali solenni ad Andria

L’ultimo saluto alle 23 vittime del disastro ferroviario del 12 luglio si è svolto sabato 16 luglio nel Palasport di viale Germania ad Andria. La solenne cerimonia collettiva è stata presieduta dal vescovo diocesano di Andria, Canosa e Minervino, mons. Luigi Mansi, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del presidente della Camera Laura Boldrini, oltre ai sindaci e alle istituzioni della provincia e della Regione.

L'abbraccio della città a Luciano e Francesco

Dopo la cerimonia collettiva, nel pomeriggio in città è stato dato l’ultimo saluto a Luciano Caterino e Francesco Tedone, le due vittime coratine del tragico incidente ferroviario del 12 luglio. Alle 16 ha avuto inizio il loro funerale in chiesa Matrice. A presiedere la cerimonia don Giuseppe Lobascio, vicario episcopale di Corato.

L’omelia di don Giuseppe Lobascio. Le parole di un prete in occasioni dolorose come questa, non possono che essere parole di speranza. Ne abbiamo bisogno, perché senza il sostegno della speranza non si riesce a vivere, non si possono affrontare le sfide difficili del tempo. Ma le parole di speranza, pur belle, rischiano di rimanere soltanto parole; possono esprimere una sincera solidarietà umana, la vicinanza del cuore e dei sentimenti, ma sembrano destinate a infrangersi contro il muro impenetrabile della morte.

Ecco perché è importante che le parole umane, necessarie ma deboli, si appoggino sulla parola di Dio, potente nella sua misericordia. Abbiamo ascoltato due letture che ci possono aiutare a interpretare nella direzione giusta il lutto che ha colpito non solo questa comunità, ma anche quelle limitrofe.

Punto di partenza è il riconoscimento della nativa fragilità della condizione umana. L’uomo è grande nella sua intelligenza creativa, nella sua forza morale, nella sua capacità di amore e di sacrificio. Ma in tutta questa ricchezza, è contenuta in un involucro debole e fragile, in un organismo biologico delicato ed effimero. È il paradosso della cappa pesante che ha fatto riflettere tanti filosofi. Basta un microscopico virus a bloccare la nostra esistenza; basta una disattenzione o un errore, un semplice incidente per porre fine all’avventura spirituale di una persona. E allora? Diremo che l’esistenza umana è uno scherzo dal momento che basta così poco per vincerla? O ci abbandoneremo alla disperazione, dal momento che non riusiamo, pur volendolo, a proteggerla sempre dai rischi?

Questa significherebbe cedere alla potenza della morte. Ci viene chiesto piuttosto di affermare la nostra fede nella vita nonostante tutto e contro tutto. E a proposito di questo che la lettera agli Ebrei parla di coloro che «per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita» (Eb 2, 15). È la condizione dell’uomo che si è dovuto scontrare con la morte e ne ha ricevuto una paura invincibile, una paura tale che gli diventa difficile aprirsi alla fede nella vita, all’amore, al dono generoso di sé. L’esperienza dolorosa della morte lo ha ripiegato su se stesso e ha fatto di lui un egocentrico impaurito.

Il cristiano, colui che crede fortemente in Cristo che è vita, che è gioia, che è speranza non si ripiega su se stesso, anche se la tentazione sarebbe grande come in queste occasioni; è proprio in queste occasioni che virtù come gioia e speranza devono emergere; la gioia rende forte la speranza e la speranza fiorisce nella gioia. Queste virtù indicano la necessità di uscire da noi stessi: il gioioso non si chiude in se stesso, uscire da noi con gioia e speranza: “La gioia umana può essere tolta da qualsiasi cosa, da qualche difficoltà”. Gesù, invece, ci dona una gioia duratura. Anche nei momenti più bui

Tutti noi abbiamo perduto persone care alle quali la nostra vita era attaccata con un filo di affetto solido e consolante; e tutti noi – seppure in modi diversi – abbiamo dovuto misurare la nostra debolezza di fronte alla morte.

Io prego perché il ricordo delle persone care, del loro volto, del loro sorriso, delle loro parole, non diventi motivo di tristezza infinita ma, dopo il tempo inevitabile della tristezza, produca un amore ancora più grande e più maturo per la vita. È il modo giusto, credo, per onorare i nostri cari e dare valore al loro stesso sacrificio.

In questi giorni, lunghissimi per le comunità che hanno vissuto questo dolore, abbiamo ascoltato tante parole, abbiamo cercato di trovare spiegazioni umane all’accaduto, abbiamo discusso e cercato dove poteva essere la verità, ci siamo confrontati, abbiamo ascoltato e letto notizie e storie di tutti i generi, belle che ci hanno fatto tenerezza e meno belle perché   hanno tirato fuori rabbia dettata da un limite umano. Ma vorrei che non si dimenticasse la dimensione spirituale di questa grande sofferenza; non vorrei che venisse meno la capacità di reagire e sperare. Per questo prego il Dio della vita per me e per voi, perché la speranza di vivere e di raggiungere il Signore diventi una gioia che pervade tutta la Chiesa. Che il Signore ci dia questa grazia – di una gioia grande e di una speranza forte – che nessuno potrà toglierci.

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Le parole del sindaco Mazzilli

Gli applausi all'uscita dei feretri

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Gli applausi all'uscita dei feretri

3 aprile 2023: il treno riprende a marciare tra Corato e Andria

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Riparte la tratta Andria-Corato: l'intervista a Vincenzo Tedone

Il treno per la prima volta nella nuova stazione Corato Sud - Ospedale
Il treno per la prima volta nella nuova stazione Corato Sud - Ospedale

Corato e Andria, dopo sette anni, tornano ad essere collegate dai treni della Bari Nord. Alle 5.15 è arrivato nella stazione di Andria Sud il primo treno proveniente da Ruvo di Puglia. Un momento tanto atteso che inevitabilmente richiama alla mente il drammatico incidente del 12 luglio del 2016, avvenuto proprio su quella tratta.

Era ancora buio quando il primo treno ha raggiunto la stazione di Corato Sud partendo alla volta di Andria. Per la prima volta anche la periferia di Corato diventa il punto di partenza o di arrivo per i viaggiatori. Intorno alle 9.30 i sindaci di Andria e di Corato hanno raggiunto le nuove stazioni: è il segno dell’importanza del momento, della presenza delle istituzioni in un frangente di enorme rilevanza sul piano strategico e dei servizi per i viaggiatori. È anche la testimonianza della vicinanza delle comunità cittadine alle famiglie di chi ha perso la vita nello schianto del 12 luglio 2016 e a chi in quel gravissimo incidente è rimasto ferito.

Nella stazione di Corato Sud, questa mattina, c’era anche Vincenzo Tedone, il papà di Francesco Ludovico, giovane vittima dello schianto. Vincenzo non è salito sul treno ma la sua presenza in stazione ha un forte significato. «Sarebbe dovuta essere una bellissima giornata visto l’utilità della Ferrotramviaria sul territorio. Ma oggi questa stazione per me rappresenta tristezza, ansia» ha detto Vincenzo Tedone. «C’è amarezza e il ricordo del passato. Francesco è sempre con noi ma oggi in particolare il ricordo fa male. Quando rientrammo da Roma, il giorno del suo ritorno dal Giappone, mi chiese cosa fosse questa struttura. Gli dissi che avrebbe ospitato la nuova stazione e mi risposte: “Finalmente un pizzico di civiltà anche qui”. Sono qui perché volevo vedere la struttura, immaginare Francesco che viaggiasse da questa stazione visto che è a ottocento metri da casa mia», ha ricordato Tedone.

Il sindaco di Corato De Benedittis è partito da Corato Sud in un viaggio verso Andria. «Questo viaggio significa aprirsi al futuro, guardare avanti ovviamente senza dimenticare, facendo memoria di chi non c’è più. Nello stesso tempo però la riapertura di oggi, con una ferrovia riconfigurata sul versante della sicurezza significa anche avere la capacità guardare avanti, restituire una possibilità di mobilità eco compatibile e collegare le città di Corato e Andria in modo forte, decongestionando il traffico dagli autobus» ha affermato il sindaco De Benedittis.

Sul treno c’era anche la sindaca di Andria Giovanna Bruno:  «Sono state ore di emozioni contrastanti. La lunga attesa per questa riapertura, a quasi 7 anni, è stata accompagnata in maniera dominante dal ricordo di chi non c’è più, viaggiando a bordo di treni che non sono mai arrivati a destinazione quel 12 luglio del 2016», ha detto. «Oggi ha giocato un ruolo importante anche l’incontro e il confronto con tanti pendolari, che già dalle prime ore si sono riversati ad Andria sud, tra un misto di stupore e soddisfazione. Idealmente – ha aggiunto – ho riempito i convogli in entrata e in uscita di speranza: per le comunità nuovamente collegate, per le città orientate al futuro, per la quotidianità di tanti cittadini che riprende un minimo di normalità». «Ed ho approfittato – ha concluso – per sperimentare personalmente la linea, verificando e appurando quegli aspetti su cui bisogna maggiormente lavorare per ridurre i disservizi e incoraggiare sempre di più all’uso della mobilità su ferro».

La tratta ha riaperto dopo un lungo periodo interessato da lavori di raddoppio e messa in sicurezza dei binari. Novanta milioni di euro l’importo totale dei lavori di raddoppio della tratta Ruvo-Corato-Andria Sud comprese la nuova fermata di Corato sud-Ospedale, la ristrutturazione della stazione di Corato e la nuova stazione di Andria sud. Per realizzare le opere sono stati stanziati 60 milioni dall’Ue a valere sul progetto finanziato con il P.o. Fesr 2007-2013 e P.o. Fesr 2014-2020, oltre ad un cofinanziamento della Regione Puglia per circa 30 milioni di euro.

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Riapre la tratta Andria-Corato, l'intervista a Corrado De Benedittis

Dopo 7 anni, la sentenza di primo grado. Condannati solo il capostazione Piccarreta e il capotreno Lorizzo; 14 le assoluzioni

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Strage dei treni del 12 luglio 2016, la sentenza di primo grado

Dopo oltre quattro ore di camera di consiglio, il collegio presieduto dalla giudice Carmen Anna Lidia Corvino (Sara Pedone e Marina Chiddo giudici a latere), ha pronunciato la sentenza del processo sulla strage dei treni, avvenuta il 12 luglio del 2016. Il tribunale ha irrogato 2 condanne e 14 assoluzioni.

I condannati sono il coratino Vito Piccarreta, capostazione in servizio ad Andria e Nicola Lorizzo, capotreno sopravvissuto allo scontro. Per Piccarreta la sentenza è di 6 anni e mezzo mentre per Lorizzo è di 7 anni.

Oltre all’azienda, sono stati assolti Enrico Maria Pasquini, ai vertici di Ferrotramviaria all’epoca dell’incidente (per lui il Pm aveva chiesto la condanna a 12 anni); il direttore generale di Ferrotramviaria, Massimo Nitti e Michele Ronchi, direttore di esercizio della società (l’accusa aveva chiesto 12 anni); Giulio Roselli, dirigente a capo della divisione infrastruttura, (l’accusa aveva chiesto per lui una pena a 9 anni).

Assoluzione per Francesco Pistolato, dirigente coordinatore centrale; Vito Mastrodonato, dirigente della divisione passeggeri macchinisti e capitreno, Francesco Giuseppe Michele Schiraldi, capo unità organizzativa tecnica, Tommaso Zonno, divisione passeggeri, Giandonato Cassano, ferroviere e istruttore, Virginio Di Giambattista, dirigente del Ministero delle Infrastrutture, Alessandro De Paola, direttore Ustif.  Per loro l’accusa aveva chiesto condanna a 6 anni.

Assolto anche Alessio Porcelli, capostazione in servizio a Corato. Il tribunale ha inoltre assolto Antonio Galesi, responsabile unità tecnica movimento stazioni, così come richiesto dall’accusa.

Elena Molinaro, dirigente del Ministero dei Trasporti, era già stata assolta nel 2020 dopo aver scelto il rito abbreviato; assoluzione poi confermata dalla Corte d’Appello.

La rabbia dei parenti delle vittime: «Non è stata fatta giustizia»

Hanno atteso per quasi dodici ore, nel silenzio dell’aula di Corte d’Assise del Palazzo di Giustizia di Trani. Aspettavano la sentenza, mostrando delle t-shirt con le immagini dei loro cari, morti sul binario unico, nel tragico giorno del 12 luglio 2016.

E sono rimasti in silenzio per tutta la durata della lettura della sentenza, per poi abbandonarsi alle lacrime, talvolta contenute, altre volte trasformatesi in rumoroso pianto. Sono i parenti delle vittime del disastro ferroviario, che per anni hanno atteso che la giustizia si pronunciasse sulle responsabilità per la morte dei loro familiari, dei loro affetti più vicini.

L’assoluzione dei vertici di Ferrotramviaria, dei dirigenti del Ministero, per loro è stata la negazione della giustizia. Non credono nel solo errore umano, quello che ha portato alla condanna dei due ferrovieri Vito Piccarreta e Nicola Lorizzo.

«Hanno ucciso i nostri cari una seconda volta, non è servito a niente» ha commentato tra le lacrime Daniela Castellano, figlia di una delle vittime. «Credete veramente che l’appello potrà dare ragione a quattro fessi come noi? Noi non abbiamo il potere di Ferrotramviaria, non abbiamo potere in politica. Siamo nulla. Dopo Rigopiano tocca a noi» ha aggiunto.

Impassibile è rimasto Giuseppe Bianchino, papà di Alessandra, morta a 29 anni. Mentre si è abbandonata ad un sonoro pianto Anna Aloysi, sorella di Maria, morta nel disastro. «Non è una sentenza giusta», ha detto in lacrime.

«La legge non è uguale per tutti» hanno protestato altri presenti in aula, manifestando incredulità per la decisione dei giudici.

Ad attendere la lettura della sentenza c’erano anche i sindaci di Corato e di Andria, parti civili nel procedimento.

«È una sentenza di cui prendiamo atto. Certamente prendiamo atto del disappunto dei familiari delle vittime» ha affermato il sindaco De Benedittis. «I nostri Comuni, Corato e Andria, si sono costituiti parti civili, e adesso attendiamo di leggere le motivazioni della sentenza per le necessarie valutazioni conseguenti».

Innegabile, tuttavia, la soddisfazione di chi è stato scagionato dalle pesanti accuse per le quali era imputato. «Questa sentenza viene dopo un processo lungo, difficile a cui abbiamo contribuito tutti. È una vicenda terribile come è evidente dalle reazioni dei parenti. Però la giustizia va rispettata sempre» ha detto l’avvocato Michele Laforgia, difensore assieme a Tullio Bertolino, di Ferrotramviaria.

Le parti civili: «Continuiamo a volere chiarezza sulle responsabilità»

L'avvocato Renato Bucci
L'avvocato Renato Bucci

C’è chi ha aspettato diverse ore prima di commentare la sentenza di assoluzione dei “colletti bianchi”, scagionati dalle accuse per le quali erano a processo per la strage dei treni del 12 luglio 2016.

Una attesa che però non ha edulcorato l’amarezza, che non ha dissipato la sensazione di ingiustizia, che ha alimentato il senso di impotenza dinanzi a quella che definiscono “una vergogna”.  La giustizia, almeno in primo grado, ha fatto il suo corso. «Le sentenze vanno rispettate» affermano a voce unica tutti i protagonisti del processo, siano essi avvocati di parte civile o avvocati difensori degli imputati.

I parenti delle vittime, però, fanno fatica ad accettare.

«Vergognosa sentenza. 23 vittime e 51 feriti non hanno avuto giustizia» si legge sulla pagina Facebook dell’Astip, l’associazione strage treni in Puglia che raccoglie i familiari di alcune delle vittime del disastro ferroviario del 12 luglio 2016. Il post è corredato da una immagine in cui si legge «la giustizia dei giusti è ingiustamente giustiziata dalla ingiustizia della giustizia».

Il desiderio di perseguire ogni strada affinché venga innanzitutto fatta definitiva chiarezza sulle responsabilità della strage, costata la vita a 23 persone, ancora vivo. La sentenza, quasi certamente, verrà impugnata dinanzi alla Corte d’Appello.

L’orientamento è stato palesato dall’avvocato Renato Bucci, difensore di alcune parti civili costituitesi nel processo. «La sentenza va accettata con la serena fermezza di impugnarla. Le parti civili daranno, nei limiti del possibile, una mano agli uffici della Procura per mettere a fuoco quelli che saranno i punti deboli del ragionamento del Tribunale» afferma.

La data della pubblicazione delle motivazioni della sentenza coinciderà, dunque, con il momento in cui i legali torneranno a lavorare per far valere le proprie tesi.

«Io rimango convinto che l’impostazione dell’accusa era non solo largamente ragionevole e giuridicamente fondata, ma anche probatoriamente confermata. Il tribunale ha deciso diversamente ed è giusto che la sentenza venga rispettata tal quale, ma naturalmente senza abdicare alle prerogative difensive che sono quelle di portare avanti una impostazione conforme a quella della pubblica accusa» ha ribadito l’avvocato Bucci.

Nessun risarcimento economico può appagare l’esigenza di giustizia delle famiglie.

La persistenza di alcune parti civili, o almeno di quelle che io rappresento durante il processo, sarà ispirata alla volontà di ottenere una rivalutazione del fatto dal punto di vista penale perché dal punto di vista strettamente risarcitorio potrebbero definirsi soddisfatte dato che Ferrotramviaria è stata condannata al risarcimento dei danni» ha chiarito l’avvocato Bucci.

«L’intento che ha originariamente ispirato la costituzione e continua a sostenerla – ribadisce – è quello di fare luce e chiarezza sulle responsabilità dei “piani alti”. Le parti civili non si sono mai volute rivalere sulle figure di prossimità, di trincea del sinistro ferroviario».

E conclude: «Infierire su di loro sarebbe stata una operazione vile ed inadeguata ad una valutazione della intera vicenda».

Sul processo incombe il rischio prescrizione

Un'udienza del processo
Un'udienza del processo

Ha fatto discutere la sentenza pronunciata dal Tribunale di Trani lo scorso 15 giugno che ha assolto 14 degli imputati del procedimento relativo alla strage dei treni del 12 luglio 2016 e condannato il capostazione Vito Piccarreta e il capotreno Nicola Lorizzo, scagionando così i vertici di Ferrotramviaria.

Sulla vicenda processuale, però, incombe il rischio di prescrizione, almeno per quanto attiene i reati di omicidio colposo plurimo. Per tale motivo il ricorso in Appello, stando a quanto ipotizzato dall’avvocato Renato Bucci nel corso di una trasmissione televisiva, sembra ormai scontato.

«Quali che saranno gli sforzi della Corte d’Appello per fissare a brevissimo termine dell’eventuale, ma sicuro appello, quasi certamente non si riuscirà ad evitare che per quei reati non si consumi la prescrizione» ha affermato il difensore di alcune delle parti civili costituitesi nel procedimento.

Era stato proprio uno dei pubblici ministeri, nelle conclusioni dinanzi al tribunale, a chiedere ai giudici di valutare il rischio prescrizione. Il riconoscimento dell’aggravante della violazione della normativa sulla sicurezza sul lavoro, infatti, avrebbe raddoppiato i termini di prescrizione che, altrimenti, scadrebbero tra poco più di un anno.

Secondo l’avvocato Bucci, tuttavia, il ricorso in Appello da parte della Procura è inevitabile, dal momento che l’impostazione accusatoria dei PM è stata del tutto stravolta dalla sentenza: «Immagino vorranno difendere il loro operato e le loro valutazioni anche cercando un nuovo grado di giudizio», riflette il legale.

Resterebbe invece in piedi, almeno per qualche altro anno, il reato di disastro ferroviario, reato distinto dall’omicidio colposo plurimo.

mercoledì 12 Luglio 2023

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