Politica

Livio Minafra, ecco perchè votare Sì

La Redazione
Abbiamo chiesto a professionisti, artisti ed esponenti della società civile un parere sull'imminente referendum costituzionale. Oggi ne parla il giovane e talentuoso compositore e musicista ruvese
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Siamo a un passo dal 4 dicembre, data del tanto dibattuto referendum costituzionale. Un appuntamento da molti definito "epocale" per il nostro Paese, che comunque vada segnerà uno spartiacque tra il prima e il dopo. 

Un evento fortemente  personalizzato dal premier Matteo Renzi («Se perdo me ne vado»), che poi ha provato a fare un passo indietro, forse colpito dalla quantità di movimenti e iniziative a sostegno del No. 

Il dibattito, soprattutto politico, è serrato. Ma noi vogliamo sapere cosa voterà la gente che vive, lavora e opera al di fuori dei palazzi. Per questo abbiamo chiesto un parere a professionisti, esponenti di spicco della cultura e della società civile ruvese. Oggi approfondiamo l'argomento con il compositore e musicista di fama internazionale Livio Minafra, che si schiera apertamente per il Sì, seppur con alcune perplessità.

Cosa mi piace della riforma

«L’innovazione di questa riforma – spiega – è che la Camera legifererà senza ping pong col Senato (fatte salve alcune tematiche)». In base al nuovo artcolo 72, ogni disegno di legge sarà esaminato da una Commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approverà articolo per articolo e con votazione finale. Ciò consentirà «iter parlamentari decisamente più snelli. Mi piace anche l’idea – prosegue – che, basandosi solo sulla Camera, il Governo – di qualunque colore – sarà eletto da tutti gli italiani dai 18 anni in poi», poichè per il Senato si vota dopo i 25.

«Con il superamento del bicameralismo perfetto e con un solo Parlamento e un Governo forte (per via dell’Italicum, se non lo cambiano), si eliminano decreti legge d’urgenza e fiducie, riabilitando il Parlamento a luogo di discussione» e non di semplice ratifica. Secondo il nuovo articolo 55, infatti, la Camera dei deputati eserciterà le funzioni di indirizzo politico, legislativa e di controllo dell’operato del Governo.

«La riforma, inoltre, pone attenzione ai diritti del lavoro e alla donna in politica (in equilibrio di genere nella rappresentanza) e il Senato delle autonomie locali sarà un’ottima soluzione per portare le necessità dei territori all’attenzione di Roma». Quest'ultimo sarà composto da 95 fra Sindaci e rappresentanti dei Consigli regionali e da cinque senatori che potranno essere nominati dal Presidente della Repubblica. L'età minima sarà 18 anni e non più 40. Viene abolita la figura del senatore a vita (articolo 59). Il Presidente della Repubblica può nominare cittadini che hanno reso onore all'Italia, ma la loro carica durerà solo sette anni. Nessun senatore percepirà stipendio o vitalizio. Fra i compiti dell'organo così composto, ci saranno la valutazione dell’attività delle pubbliche amministrazioni; la verifica dell’impatto delle politiche dell’Ue sulle regioni; la ratifica, insieme alla Camera, dei trattati europei e, naturalmente, le decisioni sulle leggi di revisione della Costituzione. Sulle altre, il Senato esprimerà un parere non vincolante. Può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali però la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva (articolo 70). 

Lo convincono anche «le leggi di iniziativa popolare che (mediante la proposta da parte di almeno 150mila elettori) saranno discusse in Parlamento», garantendo così «una deliberazione conclusiva garantita nei tempi, nelle forme e nei limiti stabiliti dai regolamenti». Positiva l'opinione sull'«istituzione del referendum propositivo», che favorirà «la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche» e sul «quorum più facile da raggiungere» (secondo il nuovo articolo 75, la maggioranza degli aventi diritto o, se la proposta è avanzata da 800mila elettori, la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei deputati).

Fra le altre cose, «la Corte Costituzionale può bocciare una legge elettorale prima che sia promulgata (articolo 73)» e «per andare in guerra occorrerà la maggioranza assoluta della Camera e non più quella semplice». Verranno aboliti il Cnel (Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro) e definitivamente le province. Nei consigli regionali ci saranno «più donne e stipendi più bassi (nel limite di quanto percepito dal sindaco del capoluogo)».

«Non mi preoccupano i cambiamenti sull’elezione del Presidente della Repubblica», dice ancora Minafra, anche se «una perplessità nasce sulla questione del settimo scrutinio, ovvero la votazione dopo la quale saranno sufficienti i 3/5 della maggioranza e non dell’assemblea. Alcuni sostengono che si può eleggere un Presidente della Repubblica anche con la sola maggioranza governativa, evocando scenari dittatoriali, ma la cosa è assai improbabile, benchè aritmeticamente non esclusa, poiché l’opposizione dovrebbe lasciare l’aula al momento del voto e, considerata statisticamente la media di votanti che si sono avuti per eleggere il Presidente della Repubblica, il 98%, vedo lo scenario non ipotizzabile».

Cosa non mi convince

«Mi sollevano dubbi, invece, gli articoli relativi al Titolo V, in particolare il 117, che depotenziano molto le Regioni in favore di un nuovo accentramento statale», dice Livio Minafra. «E’ anche vero – ammette – che talune Regioni davvero vanno guidate poiché decisamente dei colabrodi. L’intento è una maggiore libertà d’azione nazionale in fatto di controllo al buon funzionamento della cosa pubblica, oltre che verso le materie di interesse nazionale. Tuttavia tale libertà d’azione viene sostanzialmente concessa se una Regione si dimostra virtuosa nei conti, “purché […] sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio” (articolo 116). Il ventaglio è piuttosto ampio: sanità, politiche sociali, sicurezza alimentare, ricerca scientifica, cultura e turismo, energia, infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione d’interesse nazionale e relative norme di sicurezza; porti e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale».

In ultima analisi

«La legge elettorale, se rimanesse così com’è, assicurerebbe un vincitore la sera del ballottaggio (ove fosse necessario). Questo assicurerebbe un Governo saldo e in grado di governare, in barba a inciuci e cambi di casacca figli della necessità di avere una maggioranza numerica. Cosa è meglio?», si chiede retoricamente Minafra. «Proporzionale e accordicchi o un vincitore sicuro? So solo che quando eleggiamo i sindaci non ci lamentiamo dell’analogo sistema; anzi, beneficiamo di una maggioranza sicura e d’un sindaco che può governare. Quando non va bene, non lo si riconferma alle successive amministrative. Rinunciare a questo nuovo istituto, l’Italicum, vuol dire poi non lamentarsi degli accordicchi tra deputati e senatori al fine di governare. Infine, una legislatura durerebbe fisiologicamente cinque anni, come nelle migliori democrazie. Invece noi, negli ultimi 70 anni abbiamo avuto quasi altrettanti governi…».

L'ultimo appello il musicista lo rivolge a tutti gli elettori, in qualunque modo essi la pensino. «Ho più rispetto di chi vota No perché ha studiato la riforma e non la condivide, paragonato a coloro i quali se ne fregano di questo referendum», così come «rispetto molto più chi vota No convintamente rispetto a chi vota Sì per simpatie governative o, parimenti, vota No per antipatie, sempre governative.

Così come io ho preso una decisione, valutando e criticando la riforma, consiglio a tutti di leggerla, prima di esprimere un giudizio».

martedì 29 Novembre 2016

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