Cultura

“Appia”, il work in progress dei Cacciatori d’ombra che ci riporta sulle tracce del nostro passato

Irene Tedone
​Un lavoro collettivo in cui coabitano più occhi, più mani, più sensibilità​. Un frutto in maturazione che vorrebbe essere colto in tutta la sua bellezza in una seconda fase, primaverile, con una mostra
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Tutte le strade portano a Roma. Una fra tutte, però, è la regina. Vestita di milioni di pietre, va. Sale e scende. Curva e si riallinea. Taglia regioni e cuce storie, vite, culture. Ode dialetti. Annusa profumi. Adocchia il mare e si perde nella terra secca. Incontra agrumeti, rovi, foglie argentee. Si infila in fitte boscaglie ed evita dirupi. Cammina e cammina. Senza sosta procede in piano incontro a orizzonti infiniti e poi si inerpica.

È l’Appia, la prima via d’Italia, gioiello della tecnologia romana, che stringe ormai in un romantico abbraccio col passato la capitale e il mare, Roma e Brindisi. Uno straordinario baluardo destinato, come ha detto bene qualcuno, a sfidare i secoli. La regina infatti è ancora lì, non muore. Con tutti gli acciacchi dell’età, resiste. Appare e scompare. Qua e là. Vecchia, sgangherata e malconcia, la via pietrosa si intreccia col presente corteggiando poderi, muretti a secco, fermate d’autobus, passaggi a livello, strade provinciali. Poi apparentemente il nulla. C’è, c’è e magari non si vede.

È stato questo emozionante coacervo di riflessioni, su un sentiero di guerra e di pace del nostro territorio, ad aver dato lo spunto a nove interpreti della fotografia, quelli dell’associazione “Cacciatori d’ombra”, a partorire un progetto, fotografico appunto, che ha ricevuto il patrocinio di Matera 2019 Open future.

La presentazione del libro “Appia”, avvenuta giovedì 24 gennaio nella biblioteca comunale Testini di Ruvo di Puglia alla presenza dell’assessora alla Cultura Monica Filograno, del presidente dell’associazione fotografica “Cacciatori d’ombra” Mauro Ieva, del docente di Urbanistica del Politecnico di Bari Dino Borri e del flautista e compositore Vincenzo Mastropirro, ha dato l’occasione per rendere omaggio a un lavoro collettivo in cui coabitano più occhi, più mani, più sensibilità.

È un bellissimo progetto che muove le mosse dall’omonimo volume di Paolo Rumiz, in cui il giornalista e scrittore triestino narra il percorso fatto a piedi da lui e da altri suoi amici su una delle strade più antiche del mondo, con l’augurio che questo bene “scandalosamente abbandonato” possa essere recuperato. L’invito è stato raccolto dai “Cacciatori d’ombra” che, da veri cacciatori di emozioni e da “indigeni” del territorio come amano definirsi, hanno ripercorso l’antico itinerario della via Appia nella sua parte meridionale, immortalando secondo cultura e sensibilità differenti un centinaio di profili della strada regina.

La pubblicazione, pur essendo fondamentalmente un lavoro di fotografia, giova però dei preziosi contributi di Paolo Rumiz e poi ancora di urbanisti, storici e scrittori come Dino Borri, Giuliano Volpe, Franco Arminio e Vincenzo Mastropirro. Quest’ultima firma, in particolare, con i suoi 9 “scatti di poesia” in vernacolo ruvese impreziosisce meravigliosamente ogni capitolo creando un fil rouge elegante tra immagini e parole.

Stè e nan-ge stè. L’affitte e nan l’affitte, stè ddà“.

“Work in progress”, come si legge nel sottotitolo dell’opera, perché? Perché è un frutto in maturazione che vorrebbe essere colto in tutta la sua bellezza in una seconda fase, primaverile, con l’inaugurazione di una mostra fotografica che questa volta partirebbe dal capolinea (Brindisi) per andare a ritroso.

Ripercorriamo il nostro passato. Ripercorriamo l’Appia.

domenica 27 Gennaio 2019

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