Attualità

La storia di Paolo, un mix di istinto e coraggio

Francesca Elicio
Ha vissuto la sua infanzia a Ruvo di Puglia e ora si ritrova ad Amsterdam a gestire la sua attività. Ma non nega la possibilità di ritornare e trascorrere il resto del suo tempo qui
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Capelli ricci, atteggiamento riservato e occhi pieni di avventura. Questo è Paolo Chieco, e questa è la sua storia. Un ragazzo come altri, ma che ha avuto la fortuna di vivere così tante esperienze diverse che potrebbe vantarsene. E invece no, lui le prende una alla volta e le incastra tra loro, tanto da formare il suo puzzle. Un puzzle ricco e variegato, pieno di colori e forse non così chiaro e scontato. Ma resta il suo puzzle. Paolo è di Bari, ma la sua storia e le sue origini sono saldamente legate al nostro paese. E come di tutti i ruvesi emigrati, abbiamo voglia di raccontarvi la sua storia. Non si potrebbe parlare esattamente di “sogno”, quello che ha rincorso. Per Paolo non è importante il cosa, ma il “come". Un’immagine che lo rappresenta è quella del pirata: un’idea di libertà, di continua esplorazione, di possibili porti dove attraccare. E forse non è neanche questo il suo porto definitivo, chi lo sa. L’unica cosa certa è che Paolo è ancora il pirata che era da bambino, solo un po' cresciuto e maturato.

Dopo una laurea in giurisprudenza, un viaggio in Brasile alla scoperta del modus vivendi del posto, decide di andare in Olanda dove, dopo diverso tempo nella ristorazione, ha deciso di aprire un’attività tutta sua: Mr Poli. Una responsabilità, quella di rappresentare la cucina italiana all’estero, che non lo spaventa. Ma quando ha capito che questa sarebbe stata la sua strada? «Credo che il mio futuro abbia ancora tanto da darmi» – ci racconta. «Ho scoperto abbastanza recentemente la bellezza del mondo della ristorazione, circa tre anni fa quando ho lasciato Bari per viaggiare. Lì ho cominciato a rendermi conto di quanto la cucina, come la musica, mia grande passione, sia un linguaggio universale e un grande strumento di coesione. Arrivato ad Amsterdam poi mi sono messo in gioco, prima lavorando come dipendente e poi aprendo la mia piccola attività di street food. È stata infatti questa città che mi ha spronato a farlo, non avrei mai pensato di fare una cosa del genere in Puglia prima. Covavo questa idea da circa un anno e fino a qualche mese fa ci stavo lavorando su con due amici. Poi, purtroppo o per fortuna, ci siamo divisi prima che le cose cominciassero seriamente e mi sono ritrovato a farlo da solo».

La sua parola d’ordine? Istinto. «Ho fede in me stesso e quando mi fermo a pensarci trovo che il filo conduttore tra tutte queste esperienze sia proprio l’esplorazione dell’animo umano. Dopo aver passato anni sui libri di legge, dopo aver assimilato i metodi, le idee e le speranze che portano l’uomo ad autoregolamentarsi e a darsi una forma societaria, volevo viverla. Volevo vedere come quelle dinamiche ideologiche poi si traducessero in dinamiche di vita reale. Penso che in fondo questa sia la mia linea guida, capire me stesso e capire l’uomo. Ho sempre pensato e affermato che l’unica rivoluzione possibile è quella individuale».

Ma Ruvo ha sempre un posto importante nel suo cuore. Perché anche se giri il mondo, le radici non si sradicano così facilmente. «Per me» – prosegue – «Ruvo rappresenta la famiglia. Quando ero più piccolo di solito ci andavamo la domenica a pranzo dai nonni per poi, nel tardo pomeriggio, passare dagli zii, cugini e cugine. Diciamo che essendo cresciuto in un contesto alternativo, Ruvo ha rappresentato per me il legame con la tradizione. Ricordo di aver pensato a come sarebbe stato bello passare la mia infanzia lì, a giocare con i cugini per le strade del paese. Ma non è un vero e proprio rimpianto, ho avuto altre incredibili esperienze da bambino e magari il tempo che ho da passare nella città di Ruvo verrà più in là. Penso che se non fossi partito per il mondo mi sarei radicato nel mio habitat di allora, pur sapendo che non mi avrebbe soddisfatto pienamente. È meglio vivere senza rimpianti di questo genere, per questo ritengo che a prescindere dal risultato si debba sempre provare ad andar dietro ai propri desideri. Come ho già avuto modo di dire non c'è vergogna nella sconfitta, quanto piuttosto c'è nella paura. È vero, io voglio vincere, ma so che in fondo posso accettare anche una sconfitta. Nei miei ipotetici progetti un giorno comprerò una casa in campagna come quella in cui ho vissuto da bambino e chissà, magari sarà proprio nelle campagne ruvesi».

Di se stesso Paolo adora la capacità di adattamento, le esperienze, le persone che nonostante distanza e tempo non lo lasciano mai solo. È orgoglioso della sua famiglia e di tutta la forza che riesce a trovare dentro se stesso nei momenti più bui.

Ma la domanda più sincera e spontanea che abbiamo voluto fargli è: sei felice? «Adesso mi sento in gioco, sento di essere sulla buona strada per una realizzazione professionale ed è qualcosa che per lungo tempo ho tenuto a distanza per motivi ideologici e psicologici. La felicità è qualcosa di altro, qualcosa che concerne solo l’attimo in cui la si percepisce e sfugge ad una dissertazione a posteriori. Ho avuto tanti attimi felici e tanti tristi; e penso sia giusto così».

mercoledì 22 Marzo 2017

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barbara abbattista
barbara abbattista
7 anni fa

Un esempio di vita…..come oggi ce ne sono tanti!!!!!!forza ragazzi

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