Attualità

Idee dal passato a beneficio dei contemporanei

La Redazione
Riceviamo e pubblichiamo una riflessione di Salvatore Bernocco
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Oggi, ultima domenica di luglio, il cielo è inclemente coi bagnanti. È nuvoloso e piove. Ed è inclemente e finanche crudele perché ci annuncia il prossimo autunno. Cos’è un cielo grigio d’estate se non un prologo all’imminente autunno, una caparra versata al cielo plumbeo? Tanto l’estate è carica di sole, di salute e di attese quanto l’autunno lo è di presagi invernali e di quel freddo che ti penetra nelle ossa e ti succhia linfa vitale. Ma tant’è, bisogna farci il callo ed accettare le quattro stagioni come anche gli altalenanti umori di dentro che si succedono come le maree e le stagioni della vita che, secondo gli antichi romani, erano tre, l’infanzia, la giovinezza e la vecchiaia.

Se all’età di mezzo si addiceva il negotium, alla vecchiaia si addiceva la trasmissione dell’esperienza.  Il vecchio è l’uomo divenuto saggio, l’uomo che conosce la vita e ciò che si agita nell’animo umano. Il vecchio ha una auctoritas che conferisce valore e peso alla sua opinione. Egli quindi può trasmettere idee costruttive, suggerire, finanche guardare lontano a dispetto dell’età o forse proprio a causa di essa: più prossimi si è all’oltre e più si scorgono nettamente i lineamenti di ciò che è giusto e di ciò che non lo è. L’eternità svezza  alla saggezza.
Ciò che è vecchio quindi non è di per sé inservibile, anzi.

Torniamo all’oggi. Quanto poco peso diamo ai suggerimenti dei nostri anziani. Quanto poco valore attribuiamo alle loro parole e quanta poca strada abbiamo percorso a causa della nostra dimenticanza e, direi, di una marcata apatia da controra pugliese.

Ne ho avuto una conferma proprio oggi mentre, dovendo ingannare il tempo, sfogliavo antiche riviste custodite in una vecchia libreria (vecchio con antico, un binomio inscindibile). Bene, ne ho aperta una, un numero del Rubastino, storico periodico della Pro loco di Ruvo, dei mesi di luglio-agosto 1972. Un tuffo nella Ruvo di trentaquattro anni fa. Un amarcord che mi ha messo i brividi addosso.

Perché? Per la semplice ragione che a Ruvo tutto muta molto lentamente, tanto lentamente che tutto resta fermo, immobile, scavato nella roccia. Se non procedere a ritroso.  Mi soffermo a leggere un articolo del defunto prof. don Vincenzo Amenduni, uno dei padri fondatori della Pro loco, deceduto molti anni or sono.

Uomo intelligente, acuto e vivace, dai molteplici interessi, di poche quanto argute parole omiletiche. I sermoni che teneva nella chiesa del Purgatorio duravano pochi minuti, ma aprivano la mente. La sua messa delle 12,30 durava massimo quindici minuti, un record, ma se ne usciva rinfrancati. Don Vincenzo aveva compreso che se i primi dieci minuti sono a beneficio delle anime, i successivi dieci vanno a beneficio dei banchi e gli ulteriori dieci a beneficio del diavolo.

Comunque, nel suo articolo “Una nuova politica per il turismo a Ruvo”, don Vincenzo fra l’altro suggerisce di studiare una “Sagra del Ferragosto”, così la chiama, “da sostituire alle ormai decrepite feste patronali, dando un tono di modernità e di originalità che quelle non hanno (…).” Una manifestazione che avrebbe dovuto occupare “i giorni centrali del Ferragosto e, nella sua originalità (ove ben studiata), dovrebbe attirare l’attenzione dei forestieri.”

Certo, in quell’articolo egli parla pure di una Ruvo che non c’è più, di emigrati che vi ritornano in massa per trascorrervi le ferie, di commercianti sospinti a Ruvo da motivi d’affari, finanche di una pineta comunale frequentatissima e di strade e giardini ben tenuti (un tempo almeno era così).

Ma egli si dimostra lungimirante perché unisce in un unicum il turismo eno-gastronomico alla fruizione dei beni culturali (che non basta, sostiene), il folklore al sano divertimento. Pensa inoltre a delle manifestazioni che siano di richiamo per i cittadini dei comuni viciniori e che facciano trascorrere a chi torna  a Ruvo delle giornate indimenticabili.

Bene, sono trascorsi quasi quarant’anni e sotto il sole non c’è nulla di nuovo. Niente Sagra del Ferragosto o similia, niente manifestazioni, niente di niente. In passato qualcosa si vide, poi fu il silenzio. Non c’è niente da ricordare e nulla da dimenticare.

Possiamo anche non concordare col giudizio che Don Vincenzo diede sulle nostre feste patronali, che vanno valorizzate perché ci parlano della nostra storia e della nostra cultura, ma di certo mi sento di condividere, mutatis mutandis, le sue riflessioni su una nuova politica turistica a Ruvo, che trovo molto stimolanti e di sprone.

Dal passato, quindi, ci proviene l’eco di parole sagge. Ascoltiamole, e forse ci ritroveremo in una Ruvo più moderna.  

mercoledì 2 Agosto 2006

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